(foto LaPresse)

La Gabbia in piazza

Guido Vitiello

I salvino-meloniani al mattino e i pappalardi al pomeriggio sono due momenti della scaletta di un’unica trasmissione

Anni fa non era che un incubo informe, poi ha preso consistenza di sospetto, adesso è una certezza granitica: gli storici del futuro studieranno i ludi gladiatorii della “Gabbia” di Paragone su La7 come noi studiamo le serate futuriste del primo Novecento al Costanzi o alla Pergola, ovvero come un luogo d’incubazione di flagelli politici. Era tutto lì, in quelle centocinquantasette abominevoli puntate, un distillato di oli essenziali ideologici che altri talk-show contenevano in forma appena diluita: il piagnisteo antitedesco, l’Europa cattiva, le furbate monetarie per vivere a sbafo, Soros, il deep state globalista, i no vax, il piano Kalergi e nazisterie assortite. Non serve una Rossanda del sovranismo per ricostruire questo altro album di famiglia, del resto assai breve. Dalla “Gabbia”, che andò in onda fino al 2017 e al governo nel 2018, sono nate per parto gemellare anche le due piazze di ieri, o meglio i due turni nella stessa Piazza del Popolo – i salvino-meloniani al mattino, i pappalardi al pomeriggio. “Questo fatto che dovremmo sentirci in imbarazzo anche per cose con le quali non c’entriamo nulla sta diventando stucchevole”, ha detto Giorgia Meloni. Sarà. Eppure, sfido chiunque a trovare non dieci, ma una buona ragione per cui Pappalardo non potrebbe correre nelle liste di FdI e il meloniano Meluzzi non sarebbe un amore in gilet arancione. La cosa più onesta, alla fin fine, l’ha detta ieri un falegname romano: “Io stamane sto con Salvini e Meloni, e nel pomeriggio andrò dal generale Pappalardo”. Sono due momenti della scaletta di un’unica trasmissione, la “Gabbia”.