(foto LaPresse)

Sommario dei guai rovesciati dal virus sul mondo

Stefano Cingolani

L’industria, il sistema bancario. Ma anche la vita reale, fatta di piccoli risparmiatori e piccoli consumatori, tra palestre, ristoranti, negozi e botteghe. Catalogo ragionato di tutte le cose che cambieranno, o forse no

“La supponenza degli arroganti rovina più dell’invidia dei colleghi e del giudizio dei competenti”.

Plautilla Bricci in “L’architettrice” di Melania Mazzucco


Tutto cambia, no tutto resta come prima. E’ il dilemma che lacera l’uomo occidentale dai tempi di Eraclito e Parmenide. Quante pandemie, quante pestilenze sono passate in questi 2.500 anni senza mai colmare il fossato che divide progresso e conservazione? Non sappiamo se davvero usciremo diversi, magari migliori, dalla grande clausura, oppure se il ramoscello piegato dalla natura matrigna tornerà esattamente nella stessa posizione. E’ cominciata la fuga da New York, scrive il Financial Times e accadrà lo stesso alle altre città globali. Ma allora come la mettiamo con i parchi affollati di bellezze al sole e le piazze stipate di lattine e bottigliette? Sono riti che si ripetono quando finisce ogni catastrofe oppure è la coazione a ripetere di comportamenti perversi? Il futuro si può solo divinare, il presente invece è attorno a noi, giace sotto le macerie e prova a rialzare la testa.


La pandemia lascia una scia funebre, ci mette davanti alla nostra precarietà, l’esistenza come un’eterna scommessa


 

La nostra esistenza è segnata, anzi sconvolta. Cominciamo dalla salute che, come dice il più utile dei proverbi, viene sempre al primo posto. Il Covid-19 in Italia ha contagiato finora 231 mila persone, 33 mila sono morte; nel mondo siamo a 5.500 milioni di infermi e 345 mila decessi. La pandemia lascia una scia funebre, ci mette davanti alla precarietà del vivere, all’ignoto, ha mostrato la nostra esistenza come una eterna scommessa. Saggezza in pillole destinata a sciogliersi sulle spiagge di Rimini o lungo i Navigli? Forse. La normalità alla quale tanto agogniamo ci ha portato in terapia intensiva e la rete che deve garantire la nostra salute è piena di buchi. Non si sentono più le invettive contro Big Pharma perché il buon senso ci dice che se si trova un vaccino è solo grazie alla ricerca e all’industria mondiale, tuttavia abbiamo perso la fiducia nel potere taumaturgico dell’ospedale. Il nosocomio, letteralmente il luogo in cui si curano le malattie, è diventato il centro di irradiazione del coronavirus contro il quale, del resto, non c’è cura se non attendere che tutto passi, sperando che non si porti via anche la vita. Sperando nella soluzione farmaceutica, dovremo ricorrere a terapie palliative (come per l’Aids) che potranno essere somministrate anche fuori dall’ospedale il quale tornerà, sia pur lentamente, alla funzione di un tempo: affrontare malattie gravi, croniche o improvvise come un infarto, tuttavia non del tutto ignote; il cancro non è stato sconfitto, ma oggi nasconde meno misteri di un tempo.

 

La gestione della salute andrà ripensata, lo si dice senza sapere come. L’unica cosa chiara è che non potremo più delegarla, dobbiamo riappropriarcene, prevenire e curare, diventando potenzialmente padroni del nostro destino. Un processo lungo e difficile, che richiede un salto nella cultura e nei comportamenti sia individuali sia collettivi, pena la caduta nelle grinfie di no vax e guaritori. In Italia il sistema sanitario non ha funzionato nei punti alti (pur con tutte le attenuanti generiche e specifiche), ma è stato disastroso anche negli altri paesi con poche eccezioni come la Germania che ha reagito presto e si è giovata di una oculata politica delle scorte. Dunque, prima di lanciarci in teorie che magari si rivelano strampalate, seguiamo il metodo empirico basato sull’osservazione, analizziamo chi ha fatto meglio o meno peggio, non ci sbrodoliamo in lodi infondate e cerchiamo un modello ragionevolmente efficace. Sappiamo che cosa non va: il rapporto tra centro e periferia, i presidi locali, i posti in terapia intensiva, le forniture di medicinali e apparecchiature, il predominio della politica, il trionfo della incompetenza e dell’approssimazione, imbarazzante anzi allarmante. L’assessore lombardo Giulio Gallera è solo la punta dell’iceberg.


Abbiamo perso la fiducia nel potere taumaturgico dell’ospedale. Il nosocomio è diventato un focolaio di coronavirus


 

Tra i paradossi del confinamento c’è la statistica sui decessi per così dire ordinari. Così scopriamo che a Roma sono stati il 3 per cento meno dello scorso anno, nonostante il Covid-19. Per forza, nella capitale si muore soprattutto di incidenti stradali, infarto da stress, violenza quotidiana, micro-criminalità. Il lockdown ha tolto dalla strada i pirati, i borseggiatori, i maniaci e gli aggressori seriali. La riapertura ha portato le bici oltre alle auto e subito è arrivato il primo incidente sulla pista ciclabile milanese nuova di zecca. E’ questa la recuperata libertà?


In Italia il sistema sanitario non ha funzionato nei punti alti, ma è stato disastroso anche negli altri paesi con poche eccezioni


 

Non solo la salute, l’intero mondo dei doveri è stato rivoltato dal coronavirus come zolla di terra dall’aratro. La crisi economica provocata dalla pandemia è pesante ovunque, drammatica nell’Unione europea (con una caduta del prodotto lordo tra l’8 e il 10 per cento), tragica in Italia anche perché il paese era già in recessione. La produzione industriale è precipitata più di ogni altro indicatore: a marzo è scesa del 50 per cento. Del resto metà delle fabbriche sono state chiuse. Quando si rialzerà? Tra le macerie è finita oltre alla medicina magica, l’economia divinatoria. Gli economisti non danno numeri (una volta tanto), ma lettere. Prima hanno detto che ci sarà una ripresa a V, cioè rapida tanto quanto la caduta, quindi vedremo la svolta già in autunno; poi si sono corretti: sarà a U, con un intervallo tra discesa ardita e risalita, sia il Fondo monetario internazionale sia l’Unione europea stimano che ci sarà crescita solo l’anno prossimo; terza variante: sarà una L, cioè una stagnazione chissà quanto lunga, perché la svolta non è all’orizzonte e comunque non verrà recuperato tutto quel che andrà perduto quest’anno. C’è anche chi vede davanti una retta che tende all’infinito, ma lasciamo l’immagine ai gufi o ai banditori della stagnazione. Le banche sono state trasformate in cassiere del governo che ha affidato loro la distribuzione dei prestiti assistenziali e poi le ha accusate di non aver risposto con la dovuta rapidità a milioni di domande. Banchieri e bancari hanno le loro responsabilità per i ritardi, tuttavia si riflette poco sullo stress del sistema creditizio che potrebbe bruciare il 20 per cento dei ricavi e fino al 60 per cento dei profitti medi, in Europa come in Italia. Se le banche europee vorranno mantenere intatto il rapporto tra costi e ricavi, dovranno varare la più profonda revisione dei costi mai vista, 40 miliardi di euro il doppio della crisi del 2008.


La produzione industriale in Italia è precipitata più di ogni altro indicatore: a marzo è scesa del 50 per cento. Colpa del lockdown


 

Più che l’impoverimento, galeotta sarà la paura. E’ lei che fa perdere il lavoro ed è lei che spinge a non cercarlo più. E’ il dato più allarmante emerso in questi mesi: con tre milioni di persone, calcola Eurostat, l’Italia si piazza seconda dopo la Spagna (3 milioni 900 mila) e precede la Francia (2 milioni 788 mila), al quarto posto la Germania (un milione 600 mila). La rinascita non è completamente nelle mani del governo, è affidata piuttosto agli individui, alla loro psiche, ai timori, alle passioni, alle convinzioni maturate durante la clausura. Non stiamo dietro alle urla della Bestia, guardiamo piuttosto alla Borsa. I principali mercati internazionali hanno recuperato i valori di inizio marzo. Wall Street lunedì scorso ha riaperto dopo due mesi il salone delle grida, con una iniezione di ottimismo. Tra i re dei denari c’è speranza, si scommette sulla fine della crisi e sul vaccino, si combatte contro il virus a suon di trilioni. La riappropriazione economica fa da pendant alla riappropriazione della salute. Sta a noi decidere se spendere e consumare, al di là dei bisogni essenziali, o tenere al riparo i propri quattrini, anche a costo di non guadagnare nulla, come confermano i depositi bancari aumentati pure in questi mesi. Il “voto col portafoglio” è diventato, insieme alla “resilienza”, una delle espressioni più in voga. Significa aprire il borsellino solo per pagare le cose migliori, quelle che servono di più, quelle che obbediscono alle nostre esigenze vere. E’ una sorta di “politica economica” quotidiana, in mano alle persone. Non parsimonia, né prudenza, ma scelta consapevole.


Le banche sono state trasformate in cassiere del governo che ha affidato loro la distribuzione dei prestiti assistenziali


 

Nemmeno l’ansia dei ristoratori, dei baristi, dei bagnini, dei parrucchieri, dei personal trainer, della quale televisioni e giornali ci fanno partecipi, dipende esclusivamente dagli aiuti del governo, invocati a gran voce e incorniciati nei cartelli di aiuto appesi alle saracinesche chiuse, ma dalla reazione degli individui, dei consumatori. Le palestre e le piscine sono davvero sicure? E sono così indispensabili quando si può sgambettare all’aria aperta e tuffarsi tra le onde del mare dove il virus non sopravvive? Al ristorante, rito irrinunciabile, con chef stellati o in pizzeria, suscitano scandalo i tavolini distanziati, ma non è meglio sedere senza urtarsi l’un l’altro, chiacchierando in santa pace, bevendo un bicchiere di quello buono? Meglio meno, ma meglio. Già, ma cosa fanno quelli che non ce la fanno? Chi non ha i mezzi ricorre agli strozzini: i giornali sono pieni di denunce e lamentele alcune anche con nomi e cognomi delle vittime. Sì perché il fiore marcio che spunta dalle macerie è proprio la malavita, che s’insinua in ogni ganglio, copre ogni nervo scoperto, riempie ogni buco. Sarà forse una visione sbirresca, quindi parziale e scorretta, tuttavia anche gli sbirri a volte c’azzeccano.


Per alcuni lo stato d’eccezione ha rafforzato la voglia di comando, unico, forte, centralizzato; e non soltanto da parte dei governanti


 

Il nostro universo a più dimensioni destina ai piaceri le stelle più raggianti. La movida, letteralmente la mossa, ha cambiato volto e significato più volte fino a diventare, oggi covida. Nasce a Madrid come movimento artistico-politico, raccoglie intellettuali, scrittori, pittori e quanti altri, dopo la caduta del franchismo, attorno alla rivista La Luna. Tra feste e spettacoli underground, droghe e celebrazioni rituali della ritrovata libertà, un po’ indiani metropolitani un po’ gauchiste, hanno prodotto il regista Pedro Almodóvar Caballero e il cantautore Joaquín Ramón Martínez Sabina. Passata la sbornia libertaria, la movida ha cantato “la vida loca” quando è diventata di moda in tutta Europa, poi sono rimaste le birrette, gli aperitivi, la caciara (senza dimenticar la droga). Eppure dovrà avere ancor oggi un senso sociologico profondo se è la prima manifestazione di massa, spontanea, che abbiamo visto nelle piazze d’Italia, nei parchi di Londra, nei boulevard di Parigi, non appena si sono aperte le gabbie pandemiche. Ce l’ha senza dubbio, tuttavia quando la libertà diventa licenza s’affaccia sulla porta il dittatore. Così accadeva al tempo degli eroi, oggi più modestamente arrivano i sindaci, i prefetti, i poliziotti, o quei bizzarri guardiani della notte che spuntano dal decreto del governo.

 

Sul palco d’onore tra i piaceri dei nostri tempi c’è la vacanza che spesso s’accompagna al viaggio, suo sposo. Dal gran tour dei giovani romantici siamo passati al tour operator, ma la pandemia ci toglie anche questa illusione, il sogno di tenere il mondo in tasca. Sarà davvero così? Molto dipende da come e quando saranno riaperti i confini, quelli delle regioni che consentono agli italiani di passare le ferie in Italia come invita il ministro Dario Franceschini; quelli delle nazioni per attirare turisti stranieri. Anche se è certo che gli italiani prenderanno appena possono la via delle spiagge esotiche perché così sono cambiati ed è successo nei decenni in cui è stata tessuta la “lagnatela” contro la globalizzazione.

 

E gli amori? E il sesso? Aspettiamo i sondaggi per capire come gli italiani hanno vissuto l’alfa e l’omega della esistenza carnale. Intanto abbiamo sentito il grido, di dolore non di piacere, delle escort. Le furbette che si sono arrangiate sanificando le alcove, così ci informano giornali e siti web, però la categoria ha sofferto e non può chiedere nemmeno la cassa integrazione, pandemia canaglia. C’è poco da fare dell’ironia perché le sventurate sono per lo più in mano ai loro sfruttatori e viene da rabbrividire pensando a quale furia possono scaricare sulle malcapitate vedendo inaridirsi la fonte del loro sostentamento. Nel frattempo è boom dei siti porno. E come vengono vissute le “relazioni stabili” (copyright del decreto seconda fase), per non parlare dei rapporti tra “consanguinei”? Davanti agli occhi scorrono i fotogrammi di film famosi: “L’Angelo sterminatore” di Luis Buñuel, “Il Prigioniero della seconda strada” di Melvin Frank da una commedia di Neil Simon così come “La strana coppia” girata da Gene Saks. C’è già chi comincia a fare calcoli demografici: nasceranno più bambini? Ci voleva la pandemia per costringere gli italiani a invertire la curva? Oppure questa orgia digitale, tra tv in streaming e smart working ha spento il desiderio oltre alla speranza? La riscoperta della famiglia della quale si è scritto, può diventare ossessione claustrofobica che certo non favorisce il matrimonio. Quanto ai figli, hanno recuperato i genitori assenti, però hanno sofferto la mancanza di quella socialità esterna che contribuisce ad allargare gli affetti, le esperienze, la conoscenza. C’è il rischio che le macerie del Covid-19 lascino spazio al ritorno del clan, alla tentazione del maso chiuso. Tre mesi sono pochi, ma non per chi nutriva queste pulsioni ancestrali.


Cosa fanno quelli che non ce la fanno? Chi non ha i mezzi ricorre agli strozzini: i giornali sono pieni di denunce con nomi e cognomi


 

La politica, ultima per quanto importante. Qui le scuole di pensiero si dividono. Per alcuni lo stato d’eccezione ha rafforzato la voglia di comando, unico, forte, centralizzato; e non soltanto da parte dei governanti, ma anche dei governati. Ad essa si accompagna la domanda di più autorità, più protezione, più stato. E’ una tendenza generale che in Italia trova la sua applicazione pressoché perfetta, secondo questa tesi. Il Leviatano risorge dalle acque come angelo, non come demone. Può darsi, e chi sarebbe Il nuovo Thomas Hobbes? Forse Giuseppe Conte? O Vittorio Colao che parla di “stato amichevole”? Non vediamo il pizzetto del filosofo inglese nemmeno in Nicola Zingaretti né, tanto meno, in Luigi Di Maio. Lo stato acchiappatutto finora non ha preso niente se non le solite poltrone. La nuova Iri è là come un sogno, un feticcio, un tabù a seconda delle posizioni politiche, tanto se ne parla quanto poco se ne fa. La Cassa depositi e prestiti viene ricapitalizzata e le si chiede di soccorrere i caduti. Altro che stato innovatore o imprenditore, siamo allo stato barelliere. Dov’è il nuovo Oscar Sinigaglia capace di stendere un piano siderurgico e poi gestire l’Ilva? Chi farà volare l’Alitalia? L’espansione della mano pubblica, sull’onda della emergenza, non è che un neo-statalismo velleitario. Così come velleitaria è la voglia di esproprio che non ha conquistato solo i cinquestelle anche se tra loro conta esponenti di riguardo. Diamo le autostrade all’Anas che non ha i soldi e ha perso le competenze per gestirle. Picchiamo in testa alle multinazionali che, nel frattempo, se la squagliano. Neghiamo il prestito alla FCA che in Italia produce 27 miliardi con 35 mila dipendenti e rappresenta il più grande gruppo manifatturiero privato.

 

L’Europa è ancora matrigna? La Ue sta mobilitando oltre 350 milioni di euro per sviluppare vaccini, nuovi trattamenti, test diagnostici e sistemi medici,programmo di ricerca e soluzioni innovative. Contro la recessione, oltre ai 1.100 miliardi di euro messi a disposizione dalla Bce comprando titoli di stato, ci sono altri 2.400 miliardi per affrontare la crisi: 540 come prestiti dal Mes, dalla Bei e da Sure (la cassa integrazione); 750 miliardi tra prestiti e sussidi dal Next Generation Eu, il programma proposto da Ursula von der Leyen, infine il bilancio 2021-2027 supererà i 1.100 miliardi. Mai prima era stato fatto tanto. E’ troppo poco? Dipende da come queste risorse verranno impiegate. Il nuovo fondo alimentato con garanzie del bilancio Ue darà all’Italia 173 miliardi di euro, metà prestiti metà a fondo perduto dal prossimo anno. Ci sono i progetti per impiegarli, dalla sanità alle infrastrutture? La destra sovranista chiede al suk europeo “soldi veri”, cioè gratis, ma il cammello dov’è?


C’è già chi comincia a fare calcoli demografici: nasceranno più bambini? Ci voleva una pandemia per farli? 


Supponenza, arroganza e incompetenza, tre parche filano la tela sulle rovine del corona virus. Secondo un’analisi comparata di Raghuram Rajan che è stato anche governatore della Banca dell’India prima di tornare a Chicago alla prestigiosa Booth School of Business, non ha funzionato né l’approccio centralistico né quello decentralizzato che in Italia ha il volto grifagno e sofferente di Attilio Fontana o quello strafottente di Vincenzo De Luca. Tra i due opposti c’è un giusto mezzo che Rajan chiama “decentramento ben gestito” facendo appello al buon senso prima che all’ideologia o al proprio ego. Perché non ricominciare da qui?