(foto d'archivio LaPresse)

L'importanza del nuovo fattore C

Claudio Cerasa

Lo scandalo del piano Colao non ha a che fare con i contenuti ma con un problema ben più importante: la capacità della politica di guardarsi allo specchio e sentirsi all’altezza di una rivoluzione di cui mai come oggi l’Italia avrebbe urgente bisogno

Lo hanno chiamato con disprezzo il libro dei sogni, lo hanno definito con sdegno un lavoro inutile, lo hanno declassato senza averlo neppure letto a semplice contributo da non prendere sul serio. Eppure, a voler leggere senza paraocchi le centoventuno pagine del famoso rapporto Colao, si capirà che una delle ragioni per cui sembra fare molta paura il piano suggerito dall’ex amministratore delegato di Vodafone è legata al fatto che quel piano – che meriterebbe di essere apprezzato anche per la semplice circostanza che una degli esperti che si sono rifiutati di firmarlo si chiama Mariana Mazzucato – è come uno specchio in cui la politica vede riflesse molte delle sue contraddizioni. E’ uno specchio delle contraddizioni per l’opposizione, naturalmente, perché quando Matteo Salvini si ritrova a rivendicare la “paternità” di alcune delle idee contenute nel piano Colao, l’abrogazione del codice appalti, la compensazione dei crediti certi versa la Pa, il rinvio degli acconti fiscali, la possibilità di avvalersi dei crediti in compensazione prima della presentazione delle dichiarazioni, non fa altro che allargare l’obiettivo non sull'inadeguatezza del governo ma sull’inadeguatezza di un’opposizione incapace di costruire in Parlamento alleanze finalizzate a ottenere più risultati che follower. Ma è, in primo luogo, uno specchio delle contraddizioni per tutti gli azionisti del governo perché ricorda a tutti i partiti della maggioranza quali sono le misure che un paese normalmente evoluto e civile dovrebbe attuare per evitare di sprecare un’occasione storica che potrebbe non capitare mai più: avere molti soldi da spendere, avere un Patto di stabilità da non rispettare, avere un deficit da sforare, avere un debito da aumentare, avere un’Europa con cui collaborare e avere un’opposizione così sgangherata da non rendere possibile in questa legislatura almeno per il momento nessun altro governo se non quello attuale. 

 

 

Per il governo, il piano Colao è uno specchio pericoloso in cui riflettersi perché molte delle misure di buon senso presentano un dettaglio che si ritrova in buona parte delle slide preparate dalla task force: no funding. Sono, in altre parole, le riforme a costo zero quelle più urgenti per l’Italia, ma molte delle riforme a costo zero che l’Italia dovrebbe portare a termine sono riforme che possono essere accettate dal governo solo a condizione di superare alcuni tabù forse non superabili. Semplificare l’applicazione del codice degli appalti, per esempio, applicando alle infrastrutture strategiche le sole direttive europee, significherebbe per il Pd dover riconoscere che il codice appalti a cui hanno lavorato gli ultimi due governi del Pd ha contribuito ad accrescere uno dei mali del paese, ovvero la codificazione dell’immobilismo come unica forma di legalità consentita. Rafforzare il mercato del lavoro, per continuare, superando il decreto “Dignità” voluto da Luigi Di Maio per permettere il rinnovo dei contratti a tempo determinato in scadenza, sono circa 2,5 milioni, significherebbe per il M5s e anche per il Pd dover ammettere che combattere la flessibilità non aiuta a migliorare l’occupazione ma contribuisce ad aumentare la disoccupazione. Lo stesso vale, per restare al mondo del lavoro, per l’idea di spostare l’attenzione del legislatore verso le politiche attive, creando le condizioni affinché l’assistenza dello stato verso chi non ha lavoro venga costruita in maniera tale da vincolare il sostegno all’attivazione di un percorso di miglioramento delle proprie competenze, “necessarie per fare fronte alle nuove esigenze lavorative emerse durante la crisi del Covid-19”. E lo stesso vale, se vogliamo, anche per l’idea di “ampliare gli ambiti di applicabilità di autocertificazione e meccanismi di silenzio-assenso in tempi garantiti” (significherebbe rivoluzionare il rapporto dello stato con il cittadino e significherebbe per lo stato fidarsi dei suoi cittadini non facendoli più sentire davighianamente dei furfanti fino a prova contraria). E lo stesso vale anche per l’idea di spostare l’attenzione della politica non su quanto siano cattivi i paesi europei che offrono alle aziende condizioni competitive per spostare nelle loro città le sedi legali e fiscali ma su quanto sia invece deficitaria l’Italia nell’offrire alle stesse aziende buoni motivi per trasferire nelle nostre città le loro sedi e le loro strutture, idea ben sintetizzata nel capitolo 18 del piano Colao, quello relativo al reshoring, il re-insediamento in Italia di attività ad alto valore aggiunto. Lo scandalo del piano Colao non ha a che fare con il contenuto ma ha a che fare con un problema ben più importante: la capacità della politica di guardarsi allo specchio e sentirsi all’altezza di una rivoluzione più culturale che economica di cui mai come oggi l’Italia avrebbe urgente bisogno.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.