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I nemici dello smart working sono i nemici della produttività

Andrea Bonaccorsi, Rosario Iaccarino e Mauro Meda

La stagione del lockdown ha offerto all’Italia l’occasione per cambiare il lavoro. Perché l’efficienza non può più essere tabù

Il dibattito sulla ripartenza si focalizza sul come riaccendere il motore. In una prospettiva di medio periodo ci si dovrebbe anche chiedere come, nei prossimi 2-3 anni, aumentare la produttività del lavoro. In un importante e-book di poco precedente la crisi (“Molto rumore per nulla. La parabola dell’Italia, tra riforme abortite e ristagno economico”) Paolo Sestito e Roberto Torrini, economisti della Banca d’Italia, hanno mostrato che il prodotto lordo per ora lavorata è quasi raddoppiato tra 1970 e 1995, ma dal 1995 (prima dell’euro) ad oggi è fermo. Un quarto di secolo di ristagno della produttività. La quota del lavoro sul valore aggiunto è leggermente diminuita, ma non a vantaggio dei profitti, ma della rendita immobiliare, che passa dal 5 per cento a quasi il 15 per cento. Nei pochi mesi del lockdown il paese è stato costretto a un corso accelerato di tecnologia e organizzazione digitale del lavoro. Ha dovuto riscoprire il senso del cambiamento attraverso nuove competenze, adattamento e resilienza. Chi ha saputo in emergenza progettare un vero smart working, sia nella manifattura che nei servizi, riporta un forte aumento di produttività, ottenuto non con uno sfruttamento più intenso del lavoro, ma con una nuova combinazione tra tecnologia e organizzazione ed una ritrovata centralità delle persone. Le prime indagini mostrano che i dipendenti si aspettano di proseguire con una organizzazione del lavoro in parte in presenza, in parte a distanza, un blended working. Mostrano che un aumento di produttività nell’ordine del 15 per cento è raggiungibile, un dato che obbliga a rivedere una obsoleta interpretazione della gerarchia basata sul controllo visivo dei dipendenti. Quali sono le condizioni? Prendiamo a prestito l’acronimo MOOC. Primo: Management. Lo smart working non è telelavoro, ovvero spostamento a casa di un lavoro invariato. E' ripensamento dei compiti, responsabilizzazione e autonomia dei dipendenti, definizione dei risultati attesi e dei tempi. Senza un buon management, il lavoro remoto diventa un processo di cottimizzazione di massa, di controllo elettronico dei lavoratori anche all’interno dell’intimità della casa, con effetti di deprivazione. Questa è una sfida per la cultura manageriale del paese e per le sue scuole di formazione. Secondo: Organizzazione. Il processo di lavoro va riorganizzato, anche in modo radicale, sulla base di una alternanza pianificata tra presenza e distanza.

 

Questo contrasta con l’attitudine ad evitare la pianificazione e a decidere all’ultimo momento. La richiesta ai collaboratori di essere sempre presenti fisicamente in azienda è una assicurazione contro l’incapacità dei capi di organizzare il lavoro. La tecnologia del cellulare è stata usata per rafforzare una atavica propensione alla improvvisazione. Nello stesso periodo in cui la produttività del lavoro non cresceva, ci dicono Sestito e Torrini, il capitale per ora lavorata aumentava del 60 per cento. Dove sono finiti i vantaggi della tecnologia? E' tempo di riprendere un serio lavoro di progettazione organizzativa che aumenti in modo permanente produttività e efficacia. Terzo: Online training. Secondo l’Istat il 60,2 per cento delle imprese investe in formazione del personale, un dato in crescita. Se si guardano i dati emerge però un quadro diverso: la formazione per addetto è pari a sole 21 ore all’anno, la crescita dipende dagli obblighi normativi su ambiente e sicurezza del lavoro, mentre l’erogazione è per l’87 per cento il tradizionale corso frontale. L’esperienza di questi mesi si deve trasformare in un grande reskilling del personale basata sulla capacità di integrare i processi di apprendimento in presenza e a distanza, con le persone sempre più attori diretti nella co-definizione degli interventi. Quarto: Contrattazione con due obiettivi. Il primo riguarda le condizioni micro-organizzative: orari, alternanze tra presenza e distanza, risultati, monitoraggio, copertura dei costi delle tecnologie a distanza. Le tecnologie digitali danno enormi risultati solo se i lavoratori sono coinvolti, formati e responsabilizzati. Il secondo è una più equa distribuzione di un valore aggiunto aumentato grazie alla produttività. La condizione è dare spazio alla contrattazione decentrata, per territorio e per azienda. Il livello territoriale servirà per coordinare i ritmi delle aziende con i servizi pubblici, le scuole e gli asili, l’alta formazione, i trasporti. Il livello aziendale per ridisegnare i processi interni. Avremo bisogno di best practice, di minore burocrazia e di condizioni favorevoli per contrattare. Sono di grande rilievo i Protocolli firmati in FCA, CNHI e Ferrari, per citare i principali. Molti scettici di professione hanno detto “va beh, ma Ferrari”. In realtà il grande valore risiede proprio nella semplicità e nella scalabilità. Paradossalmente Ferrari è, insieme a FCA e CNHI, il modello più facilmente imitabile per le PMI.


Lo smart working non è telelavoro, lo spostamento a casa di un lavoro invariato. E’ ripensamento dei compiti, responsabilizzazione e autonomia dei dipendenti, definizione dei risultati. E la rivoluzione deve coinvolgere tutti: associazioni d’impresa, sindacati, fondi, università, scuole di formazione, consulenti 


La strada da fare è lunga. La definizione di lavoro agile è già contenuta nella legge 81/2017. Per una attuazione evoluta serve però un cambiamento di filosofia organizzativa e di gestione ispirato ad autonomia, fiducia, responsabilizzazione, dialogo. Una transizione che va monitorata e indirizzata attraverso un processo pluralistico e partecipato valorizzando i corpi intermedi più coraggiosi: associazioni d’impresa, sindacati, fondi interprofessionali, università, scuole di formazione, società di consulenza. Non trascuriamo i vantaggi in termini di sostenibilità: minore traffico, inquinamento, congestione urbana, rendita immobiliare. Migliore bilanciamento lavoro-famiglia, con effetti sui tassi di attività femminili, che in Italia crollano dopo la maternità, a causa di rinunce forzate. Coinvolgimento dei padri nella cura dei figli: un salto culturale che il paese non ha mai fatto. Maggiori investimenti in formazione e sviluppo del capitale umano. E’ urgente aprire un nuovo capitolo della crescita con una originale capacità di creare comunità adattative e inclusive, per generare nuovo valore sociale e economico. 

 

Andrea Bonaccorsi

Università di Pisa

Rosario Iaccarino
responsabile Formazione Fim-Cisl nazionale

Mauro Meda

segretario generale Asfor