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Italiani popolo di smart workers. Così cambiano gli spazi del lavoro

Bianca Maria Sacchetti

Secondo una ricerca dell'istituto Piepoli, tre italiani su quattro vorrebbero proseguire a lavorare da casa anche dopo la fine del lockdown. Ma occorre ridisegnare gli ambienti privati e pubblici. E arrivano gli uffici diffusi

L'Italia è ancora un paese in smart working. Le attività professionali in fase lockdown, fatta eccezione per poche categorie, si sono svolte all’interno delle mura domestiche e a cambiare sono stati ritmi, routine e, naturalmente, spazi di lavoro. E proprio l’organizzazione degli spazi di lavoro durante e dopo l’emergenza è al centro della nuova indagine datata 4 maggio a cura dell’Istituto Piepoli, realizzata tramite centinaia di interviste a un campione rappresentativo della popolazione italiana a partire dai 18 anni. Tre su quattro gli italiani che affermano di voler proseguire in modalità smart working anche in fase ripartenza, volontà affiancata, però, alla piena consapevolezza di dover ridisegnare gli ambienti privati e pubblici, trovando risposte pragmatiche alle nuove abitudini sorte in pandemia e ormai irrinunciabili. 

 

L'importanza della luce naturale, la creazione di nicchie-lavoro destinate a video call e quindi munite di sfondi neutri, la presenza di pannelli e divisori mobili fonoassorbenti: l’ufficio del futuro, pensato per la propria abitazione o per l'azienda, non sarà più lo stesso.

 

Già nel 1969, come ci ha mostrato nel suo servizio del Tg1 Caterina Proietti, l’architetto viennese Hans Hollein si interrogava su simili questioni e giocava d’anticipo con il suo “mobile office”, un ufficio trasportabile, gonfiabile e in grado di ospitare al suo interno un individuo, una tavola da disegno, un telefono e una macchina da scrivere. Un prototipo d’avanguardia che cinquant’anni fa pareva andare incontro alle attuali richieste del distanziamento sociale e del nomadismo digitale e che oggi ci fa riflettere sull’urgenza di ridefinire gli ambienti di domani. 

 

Secondo l’ultimo rapporto Piepoli è infatti il 78 per cento degli italiani a prevedere una massiccia riorganizzazione dei luoghi di lavoro post covid, insieme a un 63 per cento che reputa indispensabile una nuova concezione degli spazi privati e un 85 per cento della stessa opinione, riferendosi però a quelli pubblici. “Abbiamo preso prepotentemente coscienza degli spazi in cui viviamo e di come condizionino la nostra vita”, spiega Alessandro De Cillis co-founder & cmo DesignTech Hub.

 

La ricerca di mercato realizzata dall’Istituto Piepoli per il DesignTech ha consentito di mettere nero su bianco la nuova sensibilità nei confronti di tecnologia e smart working. Un tema nevralgico che ha avviato la trasformazione radicale di ciò che sarà il nostro futuro, su cui pubblico e privato si interrogano per trovare risposte pragmatiche nel minor tempo possibile”. E se davvero l’Italia - fanalino di coda nel 2017, secondo lo studio dell'Organizzazione mondiale del Lavoro, con solo il 7 per cento di smart workers - confermerà la tendenza appena emersa di non voler abbandonare la formula telelavoro, allora sarà bene mettersi all’opera per rendere abitazioni e edifici aziendali più idonei e rispondenti ai parametri richiesti. Non sempre le case hanno il setting adatto e non sempre, specie sul lungo termine, consentono di ritagliarsi perimetri di silenzio e concentrazione e per questo il condominio - dopo il cinema da cortile, le proiezioni sui muri, le app di solidarietà rionale - potrà, ancora una volta, fornire soluzioni, magari con terrazze comuni, ampi sottoscala o pianerottoli a uso coworking, in cui tutti gli inquilini, a turno, avranno una loro oasi lontana dalle distrazioni familiari. Secondo l’Architetto Roberta Gironi, “si profila una ‘ibridazione’ della casa con spazi multifunzionali (privati e pubblici), che favoriscono  attività didattiche e lavorative da remoto: ambienti caratterizzati da demarcazioni flessibili, luoghi riconvertibili con semplicità nell’arco della giornata, per rispondere a esigenze extra-abitative”.

  
Gli uffici del dopo virus dovranno contemplare il sistema delle turnazioni e avere spazi dalle molteplici destinazioni (sala conferenze che può rapidamente tramutarsi in singola postazione, area pranzo in espositiva), nonché essere progettati in maniera sostenibile, senza mai perdere di vista il faro della tecnologia, altrettanto fondamentale per una proficua operatività da remoto. Il 93 per cento degli intervistati in questo maggio, infatti, è convinto dell’utilità della tecnologia nella gestione della crisi in atto e il 65 per cento si dichiara adesso più disponibile all’utilizzo di questa, fetta di cui un 29 per cento oltre i 54 anni. 

 

L’arredamento dei nuovi workplace, che sia ufficio o ala domestica, giocherà un ruolo essenziale. Previsione, questa, ben centrata dagli italiani interpellati dal noto istituto di ricerca, dei quali l’82 per cento ritiene che il design sarà il cardine della prossima rivoluzione che interesserà spazi urbani e ambienti di lavoro. Sicurezza e benessere del lavoratore saranno poi il motto di tale rivoluzione, che da un lato vuole, attraverso gli arredi, aderire alle norme anti-contagio (divisori in plexiglass, grandi vetrate, giardini, open space con postazioni ben separate, stanze “trasversali" a uso singolo o collettivo), dall’altro revisionare in chiave welfare il concetto stesso di giornata lavorativa, oggi più di ieri fatta di momenti individuali e fluida alternanza fra sfera privata e professionale. “Gli italiani hanno recuperato contatto con le loro vite, gli affetti, le case, gli spazi, che ora però vanno completamente ridisegnati”.

 

Il sociologo Livio Gigliuto commenta la ricerca sviluppata dall’Istituto Piepoli per DesignTech Hub, il primo polo per l’innovazione tecnologica nel settore design che sorgerà nell’ambito di MIND Milano Innovation District, e spiega che “il design ha riacquisito una funzione centrale e che gli viene affidato il compito di ricostruire i luoghi privati e pubblici di un mondo più sicuro”. Che sia dal salotto con sfondi scenici per conferenze zoom o in box insonorizzati, la certezza è che la grammatica del posto di lavoro cambierà e con essa anche gli italiani, che hanno infatti ammesso, stando al rapporto, di non voler tornare al canonico format delle presenza quotidiana (il 33 per cento ha risposto molto e il 44 per cento abbastanza alla domanda: nel futuro quanto desidera che si mantenga disponibile la possibilità di lavorare da casa?).

 

Andiamo incontro a una stagione più elastica in cui, chissà, la settimana feriale sarà un'altalena fra smart working e vita da ufficio, un traguardo importante che forse la nostra società, senza il Covid, non avrebbe raggiunto con tanta agilità e con così poche polemiche. E poiché siamo diventati, seppur senza sceglierlo, un popolo di smart workers in un panorama socio-economico mutato profondamente dal Coronavirus, assistiamo anche a svolte di business creative e inedite. L’affanno di alcuni settori, come quello turistico, e la forte accelerazione sul digitale hanno lasciato spazio a virtuose occasioni di riconversione. É il caso dell’intuizione di Roberta D’Onofrio, startupper del comparto extralberghiero, che in questi mesi ha riformato il mondo Airbnb. Arrivano dunque gli uffici diffusi, case vacanza con una seconda vita, riconvertite in spazi ultra-tecnologici per lo smart working. Si chiama bnbworkingspaces.it la proposta semplice ma innovativa che parte dalla capitale e punta a riadattare appartamenti Airbnb in luoghi per lavorare.

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