il G7 a Biarritz, del 2019 (foto LaPresse)

Nuovi globalizzatori

Pier Carlo Padoan

Prevenzione e crescita. Perché la pandemia rafforzerà la globalizzazione e indebolirà i teorici dell’isolazionismo

Tra gli impatti più profondi della pandemia ci saranno quelli sul sistema internazionale. Si parla molto di tendenza alla “deglobalizzazione” a causa dell’avanzare del Covid. Ma la realtà potrebbe essere diversa. Caratterizzata da un sistema sempre altamente interconnesso ma con maggiori elementi di conflitto e con evidenti implicazioni per la governance. D’altronde, la natura epocale della crisi Covid è tale da non lasciare dubbi in proposito. La crisi subprime scoppiata nel 2007 si rivelò tale da meritarsi l’appellativo di “Grande crisi finanziaria”. L’impatto della crisi e la necessità di una risposta adeguata sulla governance portarono alla nascita del G20. I leader, capi di stato e di governo, si autoproclamarono al Forum principale per la governance economica globale.

 

E’ ancora presto per dare un giudizio sull’efficacia del lavoro dei G20, che si è avvalso del supporto di tutte le principali istituzioni economiche internazionali. Ma la risposta macroeconomica fu inizialmente assai rapida ed estesa, furono evitate chiusure protezionistiche, i paesi emergenti furono, con la loro crescita, parte della soluzione e non parte del problema. Il sistema finanziario internazionale fu rafforzato con misure relative alla capitalizzazione, alla trasparenza, e anche con il sostegno alla “finanza verde”. Passi avanti sono stati ottenuti in tema di cooperazione contro gli abusi fiscali. Molte ambizioni invece sono rimaste disattese per quel che riguarda il progresso verso una crescita sostenibile, bilanciata e inclusiva. Nel frattempo, le relazioni tra i principali stati si sono deteriorate, in buona parte per responsabilità degli Stati Uniti, lanciati sempre più lungo la strada del bilateralismo. Il rapporto tra Stati Uniti e Cina è divenuto la determinante principale dello stato di salute delle relazioni globali. L’Europa ha faticato a darsi una dimensione globale ed è apparsa, come spesso accade, occupata solo a gestire i propri problemi interni. La crisi generata da Covid-19 ha prodotto un’irruzione fragorosa in questo quadro. Innanzitutto, ha subordinato la sostenibilità economica alla sostenibilità sanitaria. Mettendo in evidenza un trade off molto difficile da gestire. E che potrà essere sciolto solo quando la seconda sarà credibilmente sotto controllo, via vaccini e sistemi di prevenzione. In un contesto globale, peraltro, in cui i rischi di pandemie continueranno a proliferare, e che quindi richiederanno efficaci sistemi di monitoraggio e di prevenzione. Ma questo richiederà, a sua volta, mutamenti nella governance della salute.

 

L’Organizzazione mondiale della sanità ha mostrato limiti di credibilità e di governance, limiti dipendenti anche dal diverso atteggiamento degli stati membri. La ricerca di un vaccino sta mobilizzando risorse pubbliche e private significative, ma che comportano inevitabilmente il rischio di duplicazione. Rischio che spesso si può verificare solo ex post. Fatica a farsi strada nelle scelte politiche l’idea che la salute è un bene pubblico globale, che beneficia tutti ma che richiede forte cooperazione. Sembra invece farsi avanti l’idea che le relazioni multilaterali stiano perdendo rilevanza, come suggerisce la fase di scarso entusiasmo del processo G20, o che siano strumentali a gestire confronti bilaterali, come sembra indicare il tentativo di Trump di sfruttare il G7 in funzione anti Cina e pro Russia. Si apre, invece, una opportunità per l’Europa di giocare un ruolo proattivo. Con l’iniziativa Next Generation Eu, l’Europa ha mobilitato risorse che devono aiutare a costruire un’Europa più sostenibile, meno squilibrata, più equa. Misure che potranno essere finanziate anche con nuove risorse proprie europee, come una web tax o come una tassa verde. Si tratta di risorse “europee” anche perché finalizzate a fornire beni pubblici europei, come la salute e la sostenibilità, ma con un risvolto globale, perché potranno contribuire alla costruzione di modelli di crescita condivisibili anche fuori dall’Europa e improntati all’apertura e al multilateralismo. Non dimentichiamoci che la pandemia Covid-19 è tuttora in pieno svolgimento. Sta devastando l’America latina, anche per l’irresponsabilità di scelte di alcuni governi. Si sta diffondendo in Africa dove la prevenzione e la difesa contro i virus sono più deboli e il trade off con la sostenibilità economica è assai più stringente. A partire da queste considerazioni l’Europa può svolgere un ruolo di leadership globale per la produzione del bene pubblico “sicurezza sanitaria”. Sia perché può contribuire agli sforzi di identificazione dei vaccini sia perché può rafforzare la governance della salute, sia perché può agire da fattore propulsivo nella diffusione della salute nelle altre regioni del mondo. Soprattutto quelle più povere e più fragili. Il rischio di nuove pandemie richiede un’ininterrotta opera di prevenzione e vigilanza. Altro che deglobalizzazione!