(foto LaPresse)

Next Generation? Italia

Pier Carlo Padoan

Per non sprecare i soldi dell’Ue, all’Italia serve una svolta: crescere puntando non su più spese ma su più produttività

E’ iniziato il dibattito sui contenuti che l’Italia è in grado di dare alle (generose) risorse che il Next Generation Eu (NgEu) fornisce. Il governo sta esaminando alcune centinaia di progetti già disponibili presso i vari ministeri. E’ fondamentale che i progetti selezionati siano in grado di attivare la crescita ma anche di generare i giusti incentivi per il sistema delle imprese, che devono svolgere un ruolo centrale per il successo della strategia di rilancio dello sviluppo. E’ necessario che il sistema produttivo nel suo complesso ne esca rafforzato, accrescendo il numero delle imprese che operano sulla frontiera della competitività. E contribuendo a rafforzare il modello di specializzazione dell’economia italiana, ma anche aprendolo a nuove opportunità. Occorre quindi che imprese e stato siano considerati come parte di un “sistema integrato” di sviluppo. Ma cosa implicherebbe in concreto un simile approccio?

 

In un intervento su queste colonne qualche settimana fa suggerivo che i criteri per la scelta dei progetti da sottoporre all’Europa dovessero incentrarsi sul loro contributo alla crescita della produttività e sulla rapidità di implementazione. Il ragionamento si può ulteriormente sviluppare anche sulla scorta di alcuni recenti contributi al dibattito sul futuro di NgEu.

 

In un libro appena pubblicato, quattro studiosi, S. Buldyrev, F. Pammolli, M. Riccaboni, H. Stanley, “The Rise and Fall of Business Firms”, (Cambridge University Press) riportano i risultati di una ricerca sul comportamento delle imprese in tema di crescita e di innovazione (i dati riguardano 5 mila imprese di 21 paesi e 130 mila diversi prodotti). Gli autori propongono un modello statistico che permette di identificare le relazioni fondamentali tra variabili che caratterizzano la crescita delle imprese. Ne emerge un risultato non nuovo, ma che conferma una “intuizione” già presente nel dibattito sulla produttività.

 

La “variabile fondamentale” che fa crescere le imprese è la capacità di catturare elementi di innovazione, di prodotto o di mercato. E in questo le imprese più grandi sono più efficaci delle imprese più piccole. Inoltre, nel processo di appropriazione delle innovazioni ci sono vincenti (imprese che crescono e fanno profitti) e perdenti (imprese che entrano in crisi e sono costrette a uscire dal mercato). Dal punto di vista aggregato, quindi, la crescita si prefigura come un processo di “distruzione creatrice” di stampo schumpeteriano. Se ne possono trarre implicazioni per la politica economica. Il processo di crescita si basa su capacità di innovare, quindi su capitale umano, capitale tangibile e intangibile. Richiede investimenti in istruzione ma anche un sistema di regolazione che favorisca la creazione di nuove imprese e una “rete di protezione” per imprese che siano costrette a uscire dal mercato. A partire da queste relazioni fondamentali occorre identificare linee guida per la politica economica. Un recente contributo in questa direzione viene da Marco Buti e Marcello Messori (“Questa volta l’Italia non può sbagliare” (Sep Luiss Policy Brief 34/2020) che elencano le condizioni necessarie per sostenere l’investimento delle imprese. Ne ricordiamo alcune: rilanciare gli investimenti pubblici per colmare le carenze infrastrutturali e istituzionali; disegnare incentivi pubblici che rendano conveniente alle imprese private effettuare “salti” dimensionali e investimenti innovativi; adeguare la qualità dell’offerta di lavoro alle qualificazioni richieste dalla domanda di lavoro, investendo nell’educazione e nella formazione; rafforzare lo stato sociale per proteggere i lavoratori spiazzati dall’innalzamento della qualità della domanda e dell’offerta di lavoro; favorire il dialogo tra parti sociali per accrescere la competitività tramite innovazioni e incrementi della produttività; sostenere il tasso di partecipazione nel mercato del lavoro.

 

Infine segnalo un contributo della associazione Minima Moralia (Next Generation Italia) che propone un approccio complessivo alla produttività individuando quattro macrosettori su cui concentrare gli interventi: educazione, lavoro, demografia, decarbonizzazione. Le misure proposte per ciascun macrosettore sono specifiche e coerenti con gli obiettivi di sostenibilità e digitalizzazione richiesti da NgEu. Non tutti gli obiettivi hanno lo scopo di fornire opportunità di investimento per le imprese ma sono funzionali alla creazione e al rafforzamento di un meccanismo di crescita via innovazione. E che tenga conto della necessità di offrire protezione ai lavoratori in questa difficile fase di transizione. E’ degno di nota che il documento contenga anche linee generali di intervento in materia fiscale. In linea di principio, NgEu non può finanziare tagli di tasse ma è utile fare spazio nel bilancio pubblico per finanziare quei tagli di tasse che devono essere parte integrante di una strategia di trasformazione del sistema economico. In sintesi, NgEu sarà tanto più efficace quanto più sarà in grado di generare un sistema interattivo tra politiche pubbliche e scelte di mercato incentivando l’innovazione e garantendo la transizione verso un nuovo modello socialmente e ambientalmente sostenibile.