E ora basta balle sul nord
La questione settentrionale non è solo una questione geografica. Cari politici, ne volete parlare davvero? Smettetela di concentrarvi sulla rappresentanza dei ceti produttivi e tornate a parlare di fisco, grazie
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Ma esiste ancora il Nord? Esiste un blocco di interessi identificabile e che si identifica con l’area padana? La “questione settentrionale” nasce, e cerca rappresentanza, su un problema fiscale. Oggi si tende a vedere nel Nord “la parte più moderna ed europea del nostro Paese”, come ha fatto Giorgio Gori su queste pagine. Il riferimento a coordinate culturali pure semplicemente abbozzate richiede una congettura sulla persistenza di un’identità, dai più ricondotta alla dominazione asburgica, che pure colse Venezia dopo mille anni di repubblica e la Lombardia invece dopo le più diverse tribolazioni. Ciò che unirebbe le regioni settentrionali, in assenza di un livello istituzionale riconducibile al “Nord”, è la prossimità ad altre aree d’Europa, che attraverso scambi commerciali e con la potenza dell’esempio ci attrarrebbero nell’orbita di valori (sostanzialmente, uno: l’idea che lavorare con impegno sia la strada per una vita ben spesa) meno popolari nel resto della penisola. E’ giusta l’intuizione: è a ragioni di tipo culturale che si deve guardare, per capire la vocazione all’imprenditoria diffusa, il fiorire d’iniziative fra design, moda e cibo e nell’industria meccanica, è la cultura che spiega perché la Torino-Venezia è in buona parte un mosaico di capannoni. Tuttavia, l’impressione è che questa cultura, nella misura in cui produce identità, sia meglio riferibile ad altre espressioni geografiche, a cominciare dalle municipalità, che al “Nord”. L’unica iniziativa che in tempi recenti abbia provato a rinnovare il dibattito sul federalismo, non a caso, parla di “territori” (Carlo Lottieri, Per una nuova Costituente. Liberare i territori, rivitalizzare le comunità, Liberilibri, 2020).
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