Ghetto di Varsavia, 1944 (foto LaPresse)

Quando la schiuma della terra impregnò la sciagurata Europa del Novecento

Giampiero Mughini

Identità, storia e memoria. Rileggendo Arthur Koestler

Tra la fine degli anni Trenta e per tutta la Seconda guerra mondiale, c’è stato un tempo in cui nostro Signore Iddio s’è preso una vacanza disinteressandosi completamente delle sciagure di noi terrestri. E non mi riferisco tanto al destino delle nazioni, degli stati, degli eserciti perché di quello sapete già tutto. Lo sapete che quando i panzer tedeschi attraversarono i confini della Polonia ci misero tre settimane a travolgerla, e mentre i “compagni” sovietici irrompevano dall’altro lato della tragedia geopolitica polacca. Lo sapete che l’esercito francese, quello che dopo la Prima guerra mondiale passava come il più valoroso esercito d’Europa, venne sconfitto a sua volta nel maggio 1940 in poco più di quindici giorni. Lo sapete che il capo politico dell’Inghilterra, sir Winston Churchill, promise alla sua gente “lagrime e sangue” perché mai e poi mai loro si sarebbero arresi e che sui cieli d’Inghilterra i ragazzi inglesi alla guida degli Spitfire tennero botta alla mostruosa potenza della Lutwaffe buttando giù 2.000 aerei tedeschi. Così come sapete tutto il resto, quello che venne dopo, Hitler che schiera sei milioni di uomini contro l’Urss, l’Italia che dichiara guerra agli Stati Uniti e all’Urss, Churchill che manda armi a quell’Urss staliniana che non aveva smesso di reputare uno stato criminale, gli Stati Uniti che vincono due guerre contemporaneamente – una contro il Giappone e una contro la Germania nazi –, noi italiani che non avevamo mai vinto una sola battaglia che ci arrendiamo salvo cominciare la più spaventosa delle guerre, la guerra civile in cui ventenni italiani si avventano gli uni contro gli altri. Tutto questo lo sapete. Più o meno.

 

Solo che se questo panorama lo fotografiamo e lo studiamo più da vicino, allora ne emergono destini ulteriori e drammaticissimi. Ossia la condizione senza scampo di alcune specifiche tribù umane. Gli ex combattenti repubblicani spagnoli che erano fuggiti dalla vittoria del franchismo e che nessuno in Europa voleva. Gli ebrei tedeschi che cercavano disperatamente rifugio dal nazismo omicida. I polacchi costretti nella morsa dei nazi a ovest e degli staliniani a est. Gli ebrei dell’Europa orientale che riuscivano a imbarcarsi su una nave diretta in Palestina e che l’amministrazione mandataria inglese bloccava e rimandava indietro, a farli tornare nei paesi dov’era in atto il macello antisemita. Gente che Arthur Koestler, un testimone del Novecento che non ha pari tra i Trenta e i Sessanta, definiva “Schiuma della terra” in un libro pubblicato a Londra nel 1941 e tradotto in Italia dal Mulino nel luglio 1989.

 

Di quell’identità lui aveva tutti i tratti e aveva fatto in prima persona tutte le esperienze. Era un ebreo nato nel 1905 in Ungheria. Negli anni Venti si trasferì con la famiglia a Vienna dove intraprese studi universitari che dovette interrompere per il sopravvenuto fallimento del padre commerciante. Da aderente al sionismo nel 1926 fu tra i primi coloni ebrei in Palestina, un paese dove avrebbe viaggiato più volte sino a diventare, con il suo romanzo del 1946 Ladri nella notte, uno dei maggiori narratori di come nacque lo stato di Israele. Tornato in Europa, nei primi anni Trenta aderì al comunismo e si iscrisse al Partito comunista tedesco per poi essere fra i primissimi a intendere tutta la brutalità criminale dello stalinismo e raccontarla a meraviglia nel Darkness at noon (“Buio a mezzogiorno”) del 1940, uno dei romanzi iconici del secolo. Al tempo della guerra civile spagnola (1936-1939) era andato in Spagna in qualità di giornalista. Arrestato dai franchisti e condannato a morte, passò tre mesi in attesa dell’esecuzione e finché un deciso intervento del governo britannico gli salvò la vita, il tutto da lui raccontato nello splendido Spanish Testament del 1937 (in italiano “Dialogo con la morte”, edito da Bompiani nel 1947). Tornato in Francia da esule politico, nella sua qualità di cittadino straniero viene arrestato dalla polizia francese e internato per alcuni mesi in un campo di concentramento a 700 metri di altitudine, Le Vernet, dove le condizioni di sussistenza non erano talmente più agevoli che nei lager tedeschi. In quel campo conosce e diventa amico di “Mario (il nome che Koestler gli affibbia nel libro Schiuma della terra), ossia Leo Valiani, una delle figure più nobili dell’antifascismo italiano, uno dei fondatori del Partito d’Azione, uno che quando lo incontrai negli anni Settanta in un suo studiolo milanese a via Brera mi diede l’impressione di avere dirimpetto l’intera storia del Novecento.

 

Ma il peggio per Koestler e i suoi compagni di tregenda che avevano cercato riparo nella Francia repubblicana deve ancora venire. Dopo i mesi della “strana guerra”, una guerra alla Germania che la Francia aveva dichiarato ma che non era in grado di condurre, ecco che quando il 10 maggio 1940 si avventa la micidiale combinata tra i panzer d’assalto e gli stukas che piombavano giù dal cielo ululando, l’esercito francese viene travolto in pochi giorni. Il governo francese, capeggiato da Philippe Pétain che ha sostituito Paul Reynaud, chiede ai tedeschi le condizioni della resa. Al primo pomeriggio del 21 giugno 1940 la delegazione francese monta sul vagone che nella foresta di Compiègnes funge da monumento alla gloria militare francese perché è il vagone nel quale nel novembre 2018 i tedeschi avevano firmato la loro resa. Ventidue anni dopo la situazione si è capovolta. Ad aspettare i francesi nel vagone ci sono Adolf Hitler (che non rivolgerà mai la parola alla delegazione francese), il feldmaresciallo Hermann Göring, il ministro degli Esteri Joachim von Ribbentrop, il grande ammiraglio Erich Raeder, il generale Wilhelm Keitel. Le condizioni presentate dai tedeschi in 23 punti non sono soggette a modifiche. Prendere o lasciare, e l’esercito francese non è nello stato di poter lasciare. La condizione più mostruosa è quella contenuta nel secondo paragrafo dell’articolo 19, dov’è scritto che eventuali cittadini tedeschi che si fossero rifugiati in Francia (esuli politici o ebrei) devono essere riconsegnati ai tedeschi. Una condizione che ferisce a morte quel dovere dell’ospitalità che da sempre ha fatto l’onore della Francia, tanto che i delegati francesi il giorno successivo, il 22 giugno, tentano di farla cassare dalle condizioni dell’armistizio. Niente da fare. Per la “Schiuma della terra” sarà l’inferno in terra. Consegnati ai tedeschi o suicidi, non avranno altra scelta.

 

Koestler riuscirà a salvarsi, a fuggire dalla Francia e arrivare a Lisbona da dove partirà per l’Inghilterra. Non così un grande protagonista della cultura europea del Novecento, l’ebreo tedesco Walter Benjamin, uno con cui Koestler era solito giocare a poker a Parigi il sabato. Lui e Koestler erano stati vicini di casa al numero 10 di rue Dombasle. Si incontrarono un’ultima volta a Marsiglia il giorno prima della partenza di Koestler. “Se qualcosa va male, hai niente da prendere?”, gli chiese Benjamin. Koestler non aveva nulla. Al che Benjamin divise fraternamente con lui le 62 compresse di un sedativo che si era procurato quando stava ancora a Berlino. Benjamin aveva un visto per gli Stati Uniti, dove sperava di arrivare dopo avere attraversato il confine con la Spagna. Solo che non aveva il visto d’uscita dalla Francia dato che il governo francese era ligio alle condizioni dell’armistizio. Scrive Koestler: “Una settimana dopo la mia partenza lui, un uomo di 55 anni malato di cuore, si incamminò per i Pirenei verso la Spagna. A Port Bou la Guardia civil lo arrestò. Gli dissero che il giorno seguente l’avrebbero rimandato in Francia. Quando vennero per condurlo al treno, era morto”. Le 31 compresse rimastegli erano state sufficienti.

 

Belluino è il caso di due ex ministri socialdemocratici della Repubblica di Weimar, Rudolf Breitscheid e Rudolf Hilferding, celeberrimo autore de “Il capitale finanziario”, uno dei grandi libri del Novecento politico. L’8 febbraio del 1941 si trovavano in un albergo di Arles, e dunque nella zona della Francia libera, dove la polizia francese venne a cercarli dicendo che i tedeschi sarebbero venuti da un momento all’altro ad arrestarli e che loro, i poliziotti francesi, li avrebbero nascosti e protetti prima di farli fuggire via Spagna. “Dove ci portate?” chiese l’ex ministro Breitscheid. “Lei ha un’opinione strana della Francia, signor Breitscheid” gli rispose l’ufficiale di polizia. Viaggiarono di notte su due macchine fino a Vichy, dove furono trattenuti al comando di polizia. Il giorno dopo, il 10 febbraio, li consegnarono ai tedeschi. Breitscheid morì a Buchenwald il 28 agosto 1944. Hilferding ebbe un’agonia molto più breve. L’11 febbraio 1941, il giorno successivo al suo arresto, morì in una cella parigina della Gestapo in circostanze che non è difficile immaginare. La sorte di chi era divenuto “Schiuma della terra” e nient’altro.