Sia lode a Herling

Giampiero Mughini

Un libro/monumento del Novecento. Gli orrori dei lager sovietici, il torvo Dopoguerra dell’italocomunismo

E’ una bellissima notizia il fatto che questo libro/monumento del Novecento, Un mondo a parte di Gustaw Herling (nato in Polonia nel 1919, morto a Napoli nel 2000), si sia appena guadagnato l’onore di figurare in un Meridiano Mondadori dal titolo Etica e letteratura interamente dedicato al testimone oculare di alcune delle massime tragedie del secolo scorso. E’ un risarcimento che l’editoria italiana doveva su tutti a chi ha raccontato tra i primissimi la condizione umana di chi era prigioniero in un lager sovietico, a un polacco che ha combattuto in prima fila nella micidiale battaglia volta a strappare Cassino ai tedeschi, a questo grande intellettuale europeo che nel secondo Dopoguerra aveva sposato Lidia Croce (la più giovane delle quattro figlie di Benedetto Croce) e che dal 1955 aveva vissuto a Napoli fino a immergersi nella cultura italiana e nelle sue topografie.

 

Herling aveva 20 anni ed era uno studente dell’Università di Varsavia quando nel settembre 1939 i panzer tedeschi sfondarono in poche settimane le difese polacche. In quello stesso mese di settembre i russi penetrarono in Polonia da est a papparsene i territori orientali, com’era del resto pattuito nel codicillo segreto dell’accordo Molotov-Von Ribbentrop del 24 agosto 1939. Herling che era riuscito a sottrarsi alle grinfie dei nazi tentò di uscire dalla Polonia per riunirsi a quei suoi connazionali che stavano organizzandosi a formare una unità militare indipendente atta a combattere i nazi. I russi lo arrestarono nel marzo del 1940 e condannarono a cinque anni di reclusione accusandolo di voler fare lo spione a favore dei tedeschi. La sua cella era prevista per 20 detenuti, ce ne stavano 70. Dopo l’attacco tedesco all’Urss del giugno 1941, i russi amnistiarono i polacchi che loro avevano tenuto nei lager solo perché erano polacchi. Herling venne liberato solo a inizio 1942 e dopo aver fatto uno sciopero della fame in condizioni umanamente terrificanti. Appena liberato, entrò a far parte del “Corpo polacco” comandato dal generale Wladyslaw Anders. Furono loro ad arrivare per primi (e a scoppiare a piangere) sulle postazioni di Cassino da cui i tedeschi erano stati sloggiati dopo combattimenti tra i più infernali della Seconda guerra mondiale, combattimenti nei quali Herling si guadagnò la più alta onorificenza militare polacca. 

 

Inutile dire che, finita la guerra, Herling avrebbe potuto vivere dappertutto fuorché nella Polonia comunista, in quel regno della menzogna assoluta che era il comunismo reale. E difatti andò a vivere dapprima a Roma e poi a Londra, dove cominciò a scrivere quello che ho definito il suo libro/monumento.

 

Un mondo a parte apparve per la prima volta in lingua inglese nel 1951 col titolo A World Apart: A Memoir of the Gulag, accompagnato da una prefazione di Bertrand Russell che ne diceva tutto il bene possibile. Nel raccontare fino allo spasimo la sofferenza e l’umiliazione dei prigionieri di un campo di lavoro sovietico sul mar Bianco – prigionieri che erano solo un piccolo comparto di una massa di detenuti politici che nel 1940 Herling valuta fra i 18 e i 25 milioni – era un testo schiacciante nel far pendere la bilancia a favore della tesi che quanto a orrore il comunismo reale e il nazismo erano fatti esattamente della stessa pasta.

 

Basterebbe affiggere su un muro dieci pagine scelte a caso di questo libro per mettere a tacere i quattro babbei che ancora di recente hanno detto che comunismo e nazismo sono profondamente diversi, perché il primo era nato a fin di bene mentre il secondo era criminale fin dalle sue molecole fondanti. E come no. Di certo era nato a fin di bene il lager dov’era detenuto Herling, un campo dove i prigionieri non contavano i mesi e gli anni della loro pena perché sapevano che da un momento all’altro quella pena poteva essere aumentata. Con qualche eccezione, lo racconta Herling. Ad esempio quella di un ferroviere di nome Ponomarenko che era stato un vecchio bolscevico e che era stato condannato a dieci anni. Lui ci credeva fermamente che dieci anni sarebbero stati e non uno di più, e li contava, e stavano per scadere, mancavano ormai solo un paio di giorni e lui già assaporava la conquistata libertà. Solo che il giorno prima lo chiamarono e gli dissero che la sua pena sarebbe durata indefinitamente. Ponomarenko tornò alla sua cuccetta, si stese, pronunziò poche parole a dire che la sua vita era finita, morì tra le quattro e le cinque del pomeriggio.

 

Non era difficile immaginare che racconti così ameni avrebbero avuto difficile cittadinanza nell’Italia del secondo Dopoguerra, dove l’italocomunismo esercitava un dominio pressoché totale. La prima edizione italiana di Un mondo a parte la pubblicò nel 1958 la Laterza e Herling reputa che non arrivò neppure in libreria. Stesso discorso per una successiva edizione Rizzoli, a proposito della quale un collaboratore di Paese Sera scrisse che a Herling andava tolta la cittadinanza italiana per poi espellerlo. La prima edizione vera e reale del libro è del 1992, per i tipi della Feltrinelli.

 

Solo che nel Meridiano Un mondo a parte non è l’unico tesoro. Lo è altrettanto l’edizione finalmente integrale – più di 600 pagine – del Diario scritto di notte che Herling è andato scrivendo per tutto il tempo dei suoi 35 anni vissuti in Italia. E dove di primizie ne potete raccogliere a man bassa. Ad esempio l’incontro del gennaio 1978 tra Herling e il professore napoletano Vincenzo Maria Palmieri, quello che aveva fatto parte della Commissione di 12 scienziati che la Croce Rossa Internazionale nell’aprile 1943 aveva incaricato di stabilire se i 4.000 e passa ufficiali polacchi trovati morti nel bosco di Katyn erano stati uccisi dai nazi o dai sovietici. La commissione stabilì che senza ombra di dubbio erano stati uccisi dai sovietici, i quali del resto mezzo secolo dopo lo ammetteranno. Ebbene nell’Italia del secondo Dopoguerra gli italocomunisti resero la vita impossibile a Palmieri. Uno studente comunista arrivò a insultarlo pesantemente durante una lezione universitaria. Herling riferisce così le parole di Palmieri durante il loro incontro del gennaio 1978 (e che nel 1955 si era invece rifiutato di incontrarlo): “Subito dopo la guerra, nella Napoli liberata, ho avuto la vita difficile per via della mia partecipazione alla Commissione. Giorno dopo giorno Mario Alicata mi faceva letteralmente a pezzi e mi insultava sull’Unità; da studente era stato un promettente attivista fascista”.

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