Frame da "Il Grande dittatore", film diretto e interpretato da Charlie Chaplin nel 1940

La viralità di Adolf Twitler

Guido Vitiello

E se Hitler avesse avuto i social network? La congettura del comico Sacha Baron Cohen si presta a un esercizio, l’ennesimo, di fiction controfattuale sul nazismo

E se Hitler avesse avuto i social network? La congettura del comico Sacha Baron Cohen, nel discorso di ringraziamento all’Anti-Defamation League, si presta a un esercizio, l’ennesimo, di fiction controfattuale sul nazismo. Suggerisco però di non concentrarsi sulla maggiore potenza pervasiva dei nuovi mezzi, quanto sulla loro diversa natura, perché il medium è il messaggio, altro che canale neutro, e ci sarà una ragione se la gente si scanna su Twitter e si fa le fusa su Instagram. Marshall McLuhan era convinto, per esempio, che Hitler fosse un prodotto del “tamburo tribale” della radio, e che in tv non sarebbe durato un’ora: “Tutto ciò che alla radio suonava così importante e serio, in televisione sarebbe stato solo comico”, disse in un’intervista nel 1978. Il piccolo schermo voleva demagoghi rassicuranti, non urlatori gesticolanti. Hitler avrebbe dato l’idea di un esagitato, non troppo diverso dalla parodia di Chaplin nel “Grande dittatore”. E sui social network? Qui torna in auge l’antico agonismo della comunicazione orale, ancorché trascritta: la simmetria duellante del botta-e-risposta, i flame, la rapida escalation dell’ostilità. A un aspirante Hitler dei social – un Adolf Twitler – servirebbero prima di tutto la battuta pronta, la sferzata sarcastica, la capacità di seppellire i rivali sotto gli sghignazzi dei fan: tutte doti da attore comico. Così, nel timore di un nuovo Grande dittatore, Baron Cohen si è svestito dei panni del clown e ha capovolto precauzionalmente il film di Chaplin, partendo dalla scena finale: il discorso all’umanità del barbiere ebreo.

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