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La vera manovra che serve all'Italia è usare i soldi del Mes per le aziende

Luciano Capone

Il governo può usare il meccanismo europeo di stabilità per agevolare una grande trasformazione dell’economia e far ripartire le imprese in sicurezza

Roma. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha annunciato che con il “decreto rilancio” verranno abbonate le rate di saldo e acconto dell’Irap, una delle imposte più odiate dalle imprese, per un valore di circa 2 miliardi. E’ un provvedimento che va incontro alle richieste del neo presidente di Confindustria Carlo Bonomi e che ha il pregio, rispetto ad altri provvedimenti che stanno funzionando male e che vanno a rilento a causa dei troppi passaggi burocratici, di fornire ossigeno e liquidità in maniera immediata alle imprese. 

 

 

L’Irap è una delle principali fonti di finanziamento del Sistema sanitario nazionale. Sono le imprese, cioè, che con l’imposta sulle attività produttive pagano la spesa sanitaria. La pandemia, però, richiede un ribaltamento di questa relazione. Attraverso il Mes.

 

In tempi normali lo stato preleva le risorse per la sanità tassando l’uso dei fattori produttivi delle aziende attraverso l’Irap. Ora che a causa del Covid-19 lo stato ha chiesto alle aziende di fermarsi e di non utilizzare affatto, o appieno, questi fattori produttivi per ragioni di salute pubblica, in maniera del tutto paradossale, si è venuta a creare l’opportunità di far ripartire le imprese attraverso la spesa sanitaria. Far ripartire le imprese in realtà è una necessità. L’opportunità è, invece, la nuova linea di credito del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Il Pandemic crisis support – questo il nome del nuovo strumento del Mes – ha due caratteristiche principali: un limite finanziario, può coprire fino al 2 per cento del pil (nel caso dell’Italia 36 miliardi); e una sola condizione, venga usato “per sostenere il finanziamento dei costi diretti e indiretti di sanità, cura e prevenzione, legati alla crisi del Covid-19” per il biennio 2020-2021.

 

Dopo mesi passati a discutere, solo in Italia, delle teorie complottistiche, della propaganda sovranista e dai fattoidi, che descrivevano il Mes come una trappola piena di “condizionalità” in uscita, ora che è chiaro – sia da parte del Mes sia da parte della Commissione europea – che non ci sono altre particolari condizioni. Ed è altrettanto chiaro che l’Italia, per la quantità di denaro che può prendere a prestito in base al proprio pil (36 miliardi) e per i tassi d’interesse che attualmente paga superiori a quasi tutti gli altri paesi dell’Eurozona, è il paese che più di tutti potrebbe avvantaggiarsi da questo prestito a tasso quasi zero (0,1 per cento): un risparmio di circa 600 milioni l’anno e di 6 miliardi sull’arco decennale del prestito. 

 

 

Il tema, quindi, non dovrebbe essere tanto se chiedere i soldi al Mes, ma come spenderli. E qui rientra il tema delle imprese e della riapertura. Lo spettro della linea di credito – “spese sanitarie dirette e indirette” e “costi di cura e prevenzione” – è talmente ampio da poter far rientrare moltissimi dei costi che la nostra economia deve sostenere. E, sicuramente, tra le spese “indirette” e di “prevenzione”, il governo può far rientrare tutti quei costi che il nostro apparato produttivo dovrà sostenere per adeguarsi al nuovo contesto: tutte le spese per la fornitura di dispositivi di produzione individuale dei lavoratori sono certamente “prevenzione”; così come lo sono tutti quegli investimenti necessari a garantire il distanziamento fisico sui luoghi di lavoro e anche nei locali aperti al pubblico. Sarebbero allo stesso modo spese di “prevenzione” gli investimenti per il trasporto pubblico locale, per aumentare la frequenza dei viaggi, il numero dei mezzi e adeguare la flotta ai nuovi standard di sicurezza.

 

Il governo potrebbe usare la linea di credito del Mes per agevolare questa grande trasformazione dell’economia e far ripartire le imprese e i lavoratori in sicurezza. E’ inutile pensare e scrivere protocolli se poi concretamente le aziende non hanno le risorse e gli strumenti per metterli in pratica. Inoltre, siccome la fase 1 ha dimostrato che non basta neppure stanziare fondi per decreto, ma bisogna farli arrivare rapidamente alle imprese, bisogna pensare a modalità semi-automatiche di finanziamento, che cioè evitino troppe intermediazioni e passaggi burocratici che (come nel caso della Cig e delle garanzie bancarie) ostruiscono il flusso. Un modello di questo approccio può essere il “Piano industria 4.0” del governo Renzi voluto dall’allora ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, che aveva lo scopo di aiutare le imprese ad affrontare la sfida tecnologica. Ciò che servirebbe oggi è un “Piano Industria 4.0” di tipo sanitario, un “Piano Industria anti Covid-19”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali