(foto LaPresse)

Antidoti al collasso

Paolo Cirino Pomicino

Uscire dal tunnel con un rinvio della tassazione locale e nazionale per l’anno in corso. E’ ora di misure forti

Le condizioni del paese impongono che le critiche si trasformino, al momento, in suggerimenti. Il tempo delle valutazioni politiche verrà a suo tempo. Quest’anno l’Italia vedrà cadere il proprio prodotto interno lordo del 10-11 per cento, sempre che non ci sia una nuova ondata epidemica con annesse chiusure. Il rapporto debito/pil salirà al 160 per cento e la spesa per interessi nel 2021 aumenterà di oltre sette miliardi superando così i 75 miliardi € e continuerà, se non ci saranno politiche adeguate, ad aumentare negli anni successivi rendendo quasi impossibile il rilancio della nostra economia. In pillole, questo è lo scenario. La politica deve dunque affrontare con urgenza i problemi del presente e quelli di medio periodo.

 

Il presente. Il tema di fondo anche alla luce del cosiddetto decreto di liquidità resta il tempo per attuare nel concreto ogni provvedimento di legge. Ai fini dello smaltimento rapido dei finanziamenti alle imprese previsti dal decreto liquidità, il governo dovrebbe mettere nel nuovo decreto in preparazione una norma che: a) manlevi la responsabilità dei dirigenti bancari verso future possibili bancarotte; b) eroghi nello spazio di 72 ore almeno un acconto senza istruttoria del 50 per cento del dovuto a imprese già affidate secondo i criteri prestabiliti con la garanzia totale dello stato.

 

Nel frattempo dovrebbe porre mano a una ricapitalizzazione delle imprese. Tre sono le soluzioni possibili: un contributo a fondo perduto dello stato alle imprese pari a una parte del fatturato perduto nei primi sei mesi di quest’anno (soluzione americana) senza presenza nei cda e con tutti i diritti nelle assemblee; b) una trasformazione di una parte dei crediti bancari in capitale di rischio da parte delle banche ristorate con corrispondente deducibilità del capitale investito da spalmare in tre anni o di un equivalente aumento di capitale sottoscritto dallo stato con uscita dopo 5 anni; c) accensione di un mutuo trentennale a tassi bassi e fissi per almeno 6 anni e successivamente variabili. L’ipotesi c) è forse la più praticabile perché un mutuo trentennale pari al 50 per cento dei ricavi perduti nei primi sei mesi di quest’anno si avvicina molto più a una forma di ricapitalizzazione che non a quella di un debito. Il rinvio della tassazione locale e nazionale per l’anno in corso e la loro rateizzazione in 72 rate a partire dal prossimo anno è un’altra misura necessaria per accompagnare l’uscita del paese dal tunnel. Altra misura utile è quella di incentivare il rientro di parte della produzione delocalizzata offrendo alle aziende un’esenzione fiscale e contributiva per quella parte di produzione che rientrerà in Italia secondo i criteri che sino al 1992 esistevano per gli investimenti nel Mezzogiorno. Abbiamo, infatti, una urgenza di importare lavoro visto che la ripresa della economia mondiale sarà più lenta del previsto. Ma oggi quel che preoccupa di più a chi ha lo sguardo lungo (in verità molto pochi) è l’Italia del dopo, visto e considerato che prima della pandemia l’Italia era un paese che da 25 anni era tra gli ultimi per tasso di crescita nell’eurozona e con un tasso di disoccupazione intorno al 10 per cento, una povertà raddoppiata negli ultimi 20 anni ma con una capacità di risparmio che nel 2019 ha raggiunto la notevole cifra di 83 miliardi di euro. Dati tra loro contrastanti, come si vede, che denotano distorsioni e sgretolamenti dello stato e di una politica che ha smesso di guidare la società e si è messa disordinatamente a inseguirla.

 

Detto questo, i temi principali del dopo che arriva domani e non dopodomani è come farà lo stato a fare quelle politiche industriali, fiscali e infrastrutturali che tutti chiedono essendosi indebitato non fino al collo ma ben oltre. Su questo tema c’è un silenzio assordante da parte di tutti, dalla politica agli economisti, dai sindacati alle associazioni imprenditoriali fino alla grande stampa specializzata. Un silenzio che non depone bene perché parlare del dopo significa chiamare alle armi pezzi di società che oggi giustamente chiedono di superare la fase di emergenza ma per il dopo sembrano voler girare la testa dall’altra parte. Noi abbiamo proposto una grande alleanza tra lo stato e la ricchezza nazionale, convinti come siamo che quest’ultima se concorre a salvare il paese salverà anche se stessa. Mille possono essere i modi con cui quest’alleanza potrebbe concretizzarsi tranne una, quella di porre una patrimoniale, che avrebbe un potente effetto recessivo.

 

Questa alleanza dovrà essere “sentita” per poter dare i suoi frutti e richiede una offensiva di persuasione perché abbiamo la sensazione che a essa non c’è alternativa se vogliamo che nel prossimo anno l’Italia riprenda a investire nella riforma fiscale, nelle infrastrutture materiali e immateriali, nella sanità e nell’istruzione, cioè nel futuro del paese dopo che per 25 anni gli investimenti pubblici si sono ridotti al 2-3 per cento rispetto al 4-5 per cento degli anni Ottanta, quando l’italia cresceva del 2,5 per cento reale l’anno. I medici, gli infermieri e tutti gli operai delle filiere e dei servizi essenziali ci hanno fatto vedere cosa significa essere “italiani”. Sapranno tutti essere alla loro altezza? La posta in gioco è duplice, una crisi finanziaria e una tenuta della democrazia liberale. Riflettano tutti.

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