La battaglia di Crécy (1346) tra inglesi e francesi nella Guerra dei cent'anni

Geopolitica al tempo del virus

Niall Ferguson analizza la situazione internazionale. La nuova Guerra fredda fra Stati Uniti e Cina e come i piccoli paesi hanno fatto meglio dei grandi

“Il Covid-19 è arrivato mentre si stava intensificando la seconda Guerra fredda, tra gli Stati Uniti e la Repubblica popolare cinese – le due superpotenze della nostra epoca – con l’Unione europea e gli altri alleati americani che sperano silenziosamente di restare non allineati”, scrive Niall Ferguson sullo Spectator: “Anziché favorire una resa di fronte a un nemico comune, la nuova peste ha solamente acuito la Guerra fredda. Per la prima volta la campagna di disinformazione orchestrata dalla Cina ha raggiunto il livello di quella russa, al punto che alti funzionari del ministero degli Esteri di Pechino hanno diffuso delle assurde teorie complottiste. Com’è risaputo, il presidente Donald Trump si è vendicato etichettando il Sars-CoV-2 (il patogeno che causa la malattia Covid-19) come il ‘virus cinese’ fino a quando suo genero Jared Kushner e l’ambasciatore cinese a Washington lo hanno convinto ad abbassare i toni. Secondo alcuni osservatori ingenui, la Cina vincerà la nuova Guerra fredda. Certo, il virus potrebbe avere avuto origine a Wuhan, forse in uno dei mercati locali dove vengono venduti animali vivi da consumo oppure in uno dei due laboratori per la ricerca biologica che si trovano in città. Infine, dopo una sequenza di eventi che ricorda la vicenda di Chernobyl, il governo cinese ha ridotto rapidamente i numeri del contagio e si è posto come il salvatore dell’umanità, anziché il suo flagello.

 

La storia ci insegna che la peste tende ad avere degli effetti devastanti nei grandi imperi con frontiere porose: chiedete agli imperatori romani Marco Aurelio e Giustiniano

Questa interpretazione non mi convince. È vero, questa potrebbe non essere la Chernobyl di Xi Jinping. A differenza dei sovietici nel 1986, il Partito comunista cinese è in grado di resistere alla tempesta e riavviare la macchina industriale del paese. Tuttavia, a oggi è impossibile che Xi raggiunga entro fine anno l’obiettivo di raddoppiare le dimensioni dell’economia cinese rispetto al 2010. Per conseguire questo risultato il paese dovrebbe crescere del 5 per cento, che è quasi impossibile. Xi non è più politicamente intoccabile. Ma questo non significa che la supremazia globale dell’America resterà intatta. Il problema non è solamente che Trump ha sbagliato la risposta alla crisi (anche se lo ha fatto sicuramente). È molto più preoccupante che gli organi del governo federale responsabili per la gestione di una crisi di questo genere – a quanto pare, gli esperti – abbiano sbagliato anche loro. Il dipartimento statunitense per la Salute e i servizi umani consiste di varie unità, e quelle incaricate di gestire la risposta alla pandemia hanno fallito nettamente. Ma questo non significa che abbiamo bisogno di più norme. Negli ultimi anni il Congresso ha approvato molte leggi per aumentare le precauzioni in vista di un’epidemia. Nell’ottobre 2015 un comitato bipartisan presieduto da Joe Lieberman e Tom Ridge ha pubblicato il suo primo rapporto in cui auspica una maggiore integrazione delle agenzie responsabili per la difesa biologica. L’anno scorso questo organo è stato rinominato Commissione bipartisan sulla difesa biologica per ‘riflettere più accuratamente il suo lavoro e l’urgenza della propria missione’. In teoria gli Stati Uniti erano il paese attrezzato meglio per gestire la pandemia.

Non dobbiamo usare il virus come scusa per aumentare l’intervento dello stato nell’economia. Il governo americano è già molto interventista. E questo è il risultato: agenzie, leggi, rapporti, presentazioni power point… e poi quando arriva la crisi a lungo discussa c’è una paralisi, seguita dal panico. Oggi gli Stati Uniti hanno unito una reazione novecentesca alla pandemia (ogni stato agisce a modo suo, e in alcuni stati muore tanta gente) con la gestione della crisi finanziaria del 2009-2010. Il risultato è stato folle. Gran parte dell’economia è stata chiusa dal governo mentre il debito pubblico e il bilancio della Federal Reserve sono cresciuti a dismisura. Trump sostiene di potere riaprire l’economia a dispetto dei governatori degli stati. I suoi video di propaganda si prendono gioco dei giornalisti che tiene sotto scacco. Nel frattempo, non siamo nemmeno vicini ad avere il numero adatto di test o gli strumenti tecnologici di cui avremmo bisogno per terminare il lockdown. In questa débâcle sembra di rivedere la fine dell’impero americano nella trilogia Colossus (2004), Civilization (2011) e The Great Degeneration (2012), ma in una versione accelerata. La storia ci insegna che la peste tende ad avere degli effetti devastanti nei grandi imperi con frontiere porose: chiedete agli imperatori romani Marco Aurelio e Giustiniano. Le città-stato sono generalmente più adatte a tenere lontani i patogeni nonostante ci siano alcune eccezioni alla regola, a partire dall’Atene di Pericle.

 

I giovani, che sono stati considerati i perdenti economici del 2008, si troveranno dalla parte dei vincitori. A quel punto, dove saranno le migliori opportunità per i giovani più ambiziosi al mondo?

Uno dei motivi per cui sono falliti tutti i tentativi di unire l’Europa – dai tempi di Carlo Magno a Napoleone – è che la frequenza delle pandemie ha favorito gli stati più piccoli, che sono spesso protetti da grandi mura e recinzioni. Nessun impero europeo era in grado di conquistare i propri vicini, dato che il tifo terminava tutte le campagne militari prima che venisse raggiunto un risultato. Così gli europei si sono convinti che fosse più facile conquistare i popoli stranieri. Quelli che vivevano oltre i confini dell’Eurasia potevano essere sconfitti facilmente perché i patogeni europei trasportati dai conquistadores facevano gran parte del lavoro. Per usare le parole di John Archdale, governatore della Carolina nel 1690, ‘la mano di Dio ha contributo a decimare gli indiani e fare spazio per gli inglesi’. Sono svanite le virtù che un tempo rendevano dominanti le società occidentali. Le nostre istituzioni pubbliche sono decadute al punto che non riescono a tenere testa a un virus che è più contagioso e letale dell’influenza, nonostante il suo arrivo fosse piuttosto scontato. (Solo tre anni fa, ad esempio, l’astrologo Lord Rees ha scommesso con lo psicologo di Harvard Steven Pinker che ‘un bioerrore o un bioterrore avrebbe prodotto un milione di vittime nel giro di sei mesi entro il 31 dicembre 2020’. Lord Rees potrebbe ancora vincere la scommessa. Purtroppo in palio ci sono solo 400 dollari). L’anno scorso il nuovo Global health security index ha classificato gli Stati Uniti e la Gran Bretagna rispettivamente al primo e al secondo posto per le ‘misure di prevenzione per la sicurezza della salute globale’. Sbagliato. Una nuova classifica del Deep knowledge group che misura la reazione globale al coronavirus colloca Israele, Singapore, Nuova Zelanda, Hong Kong e Taiwan in cima alla graduatoria. Il punto è che esistono delle diseconomie di scala quando bisogna affrontare un virus. Quattro di questi piccoli stati avevano delle ragioni per essere paranoici e per temere i pericoli di un coronavirus fatto in China. Avevano imparato la lezione della Sars e del Mers (anche causato dal coronavirus). Al contrario, i grandi paesi – la Cina, gli Stati Uniti e l’Ue – hanno gestito l’emergenza in modo terribile, ciascuno a modo suo.

 

Quale sarà il risultato politico? È molto più probabile che Trump perda le elezioni a novembre piuttosto che Xi venga spodestato dai suoi rivali di partito. Quindi conviene scommettere su questo risultato. Come successe con Warren Harding nelle elezioni del 1920, venute dopo la guerra e l’influenza, oggi Joe Biden è il signor Normalità. Dovrà solamente evitare di suicidarsi. La vittoria di Biden sarebbe un sogno per Pechino, dato che era l’unico candidato filo-cinese alle primarie democratiche oltre a Mike Bloomberg. La grande domanda è chi sarà il successore di Biden nel caso in cui dovesse perdere (come è successo a Harding). Dio ci salvi se sarà un’altra persona di nome Warren.

 

Stai attento a cosa ti auguri, segretario generale Xi. Non potrà esserci una transizione egemonica finché la potenza in ascesa non sarà pronta. La Cina al momento non lo è. No, per quanto Trump e Xi possano scontrarsi sul Covid-19, i vincitori nel breve termine non sono gli imperi ma le città-stato. Certo, Israele, Singapore e Taiwan non possono andare molto oltre i propri limiti; lo status di grande potenza non è alla loro portata. In una pandemia essere piccoli è bello. Le forze centrifughe scatenate dal virus sono più una minaccia per un partito-stato di stampo autoritario che per un sistema federale che necessita di un po’ di centralizzazione. Un eventuale successo di Xi nella guerra da corona sarà una vittoria di Pirro. Dopo la débâcle, gli Stati Uniti avranno l’opportunità di aggiustare i due maggiori difetti del proprio sistema: la confusione tra politica e spettacolo (che ha prodotto Trump) e la sclerosi cronica del deep state (che ha anche prodotto Trump). I dati sui tassi di mortalità da Covid-19 per ogni categoria anagrafica mostrano che questo non è un virus per vecchi. Quando tutto si sarà normalizzato, tra circa 12 mesi – a quel punto ci saranno un vaccino e delle terapie – il mondo avrà quasi raggiunto l’immunità di gregge, dato che il lockdown è intollerabile oltre un paio di mesi. Nel frattempo, gli anziani e i malati saranno i primi a mancare, così come medici e infermieri che sono più esposti al virus, e una percentuale minima di giovani sfortunati. La verità amara è che a quel punto il problema dell’invecchiamento delle società occidentali sarà stato risolto: gli ultra settantenni torneranno a essere considerati inammissibili per gli incarichi pubblici e altre posizioni di responsabilità. I giovani, che sono stati considerati i perdenti economici del 2008, si troveranno dalla parte dei vincitori, assumendo che le banche centrali perderanno la guerra bizzarra per fare salire i prezzi dei titoli azionari oltre quelli degli stipendi. A quel punto, dove saranno le migliori opportunità per i giovani più ambiziosi al mondo. Cina? Europa? Oppure l’America? Sapete già la risposta. A quale di questi tre imperi si sentono più legati le città-stato di maggiore successo? Sapete già anche questa risposta”.

  

(Traduzione di Gregorio Sorgi)

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