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Gli elicotteri degli altri

Renzo Rosati

L’assegno da 1.200 dollari di Trump, le 2.500 sterline di Johnson, i 45 mld per le imprese di Macron. Modelli da studiare

Roma. Chiamiamola Giulia, nome immaginario per persona vera, romana 26enne londinese da più di sei anni, munita del Settlement scheme per restare nel Regno Unito post Brexit. A fine febbraio è rientrata da una vacanzina sulle nevi italiane, mentre qui scoppiava l’epidemia e nei talk-show i conduttori populisti (ci sono anche là) ironizzavano sulla “Italian siesta”, il nostro primo lockdown. Atterrata a Heathrow senza termoscanner né richieste sulla sua provenienza, si è trovata anche lei chiusa in casa con tre coinquilini del resto d’Europa e dell’Inghilterra. Il negozio dove era impiegata, fonte di reddito durante l’università appena finita con successo, ha chiuso anche quello e il datore di lavoro ha erogato a Giulia un bonifico pari all’80 per cento di un mese di stipendio (al netto delle tasse, pagate) in base al Coronavirus job retention scheme lanciato dal governo il 20 marzo per coprire il salario fino a un massimo di 2.500 sterline. Non c’è limite sul numero di dipendenti e può durare tre mesi. Quanto agli autonomi, stessa cosa purché nell’anno precedente abbiano avuto utili – non fatturato – fino a 50 mila pound. Per integrare il restante 20 per cento a Giulia è arrivato il sussidio dello Universal credit, un reddito universale che dal 2013 accorpa le precedenti forme di assistenza delle quali molti abusavano. Quello attuale prevede il controllo delle tasse pagate, l’iscrizione al Social security (contributi), la regolarità dei conti correnti e degli affitti. I proprietari di casa hanno concesso uno sconto del 40 per cento sull’affitto e ora le loro potentissime associazioni (a Londra la proprietà immobiliare è riservata alla upper-upper class) hanno ottenuto l’esenzione fiscale di tre mesi. L’azienda di Giulia è a sua volta rimborsata dal Coronavirus business interruption loan scheme in base alla perdita di fatturato commisurata sulla media mobile dei due ultimi anni, oltre al pagamento differito di Iva e oneri immobiliari. Per ottenere i soldi in conto corrente Giulia e il suo ex boss hanno impiegato circa due settimane; ma almeno per Giulia l’aiuto non durerà a lungo: è stata assunta da una multinazionale che ha valutato il suo curriculum universitario, paga iniziale netta 1.600 sterline, e sta valutando altre offerte. Non è un’eccezione, nella sua cerchia di non britannici un ragazzo è stato preso nel più famoso e trendy museo di arte contemporanea. Questo sistema ha i suoi costi: il governo Tory li valuta in 250 miliardi di sterline, il 15 per cento del pil, sotto forma di garanzie statali, e altri 20 miliardi di sussidi e tagli alle tasse. Ha però il pregio di essere velocissimo. Le banche non hanno fatto ostruzioni alle garanzie pubbliche incrociando i dati fiscali con quelli della Social security. Hanno costituito assieme al governo un consorzio con 40 istituti, mentre la Bank of England acquisterà debito dalle grandi imprese. Boris Johnson, assai criticato all’inizio specie nella Londra laburista e antibrexit, è percepito diversamente dopo la malattia, il suo gradimento è risalito benché l’attesa sia per un lockdown (obbligatorio ma piuttosto blando per i cittadini, sostanzialmente volontario per le imprese) prorogato di altre tre settimane.

  

Eppure ieri il governo ha annunciato la sospensione temporanea del Furlough, un fondo di cassa integrazione, dopo che le richieste sono risultate il doppio delle 3,5 milioni previste. Il Regno Unito è un esempio, certo non perfetto, di come vadano le cose altrove. Il 17 aprile uno studio congiunto di World Bank, Ilo, l’agenzia del lavoro delle Nazioni unite, e Unicef, ha censito le misure di sostegno anti Covid messe in campo nel mondo.

  

Si tratta di 546 forme di protezione economica e sociale in ben 133 paesi, per il 34 per cento trasferimenti cash alle imprese, condizionati e no, per il 24 garanzie pubbliche, mentre le integrazioni salariali e i sussidi di disoccupazione sono il 15 per cento. La mera assistenza pubblica prevale nel Terzo mondo, le garanzia alle imprese in occidente grazie alle banche centrali. Ma la visione dall’alto dice poco. Sul campo, la Germania sta erogando fino a 15 mila euro in tre mesi a lavoratori in proprio tra i quali artisti, fotografi e creativi, per un totale di 50 miliardi di bilancio pubblico. Sono sotto forma di “grant”, prestiti a scadenza illimitata sul tipo delle borse di studio. Mentre ai dipendenti è dato il 60 per cento dello stipendio (67 se si hanno figli). Angela Merkel, che non è assistita da task force ed esperti che in Italia hanno raggiunto le 1.500 persone, ma da una decina fra tecnici e scienziati, ha istituito tre tavoli per i settori dell’auto, chimica e informatica nei quali aleggia la proposta di posporre la riconversione dal diesel all’elettrico, per esempio, in cambio di più manodopera che torni al lavoro. Solo questo farebbe risparmiare nel 2020 al bilancio federale 54 miliardi. Eppure il governo federale conta di spendere 122,5 miliardi, dei quali 58,5 per il sistema sanitario, 50 per le imprese fino a 10 dipendenti, il resto per assistenza al lavoro, anche con il ripristino dei mini-job, lavori temporanei sussidiati dallo stato. Il grosso, altri 822 miliardi garantiti dalla Kreditanstalt für Wiederaufbau, una sorta di Cassa depositi e prestiti, andrà però al sistema industriale con 600 miliardi alle imprese maggiori. Che nei casi più gravi potranno anche essere temporaneamente nazionalizzate secondo uno schema che ricorda quello di Barack Obama dopo il 2009. Finora però Lufthansa e le maggiori banche hanno rifiutato temendo ingerenze dello stato. I soldi arrivano rapidamente (qui ha fatto notizia un artista freelance italiano che ha ricevuto in pochi giorni a Berlino 5 mila euro in conto corrente), anche se con tempi diversi per i vari Land.

 

La Francia ha erogato 45 miliardi cash per lavoratori e imprese, per integrare gli stipendi ma soprattutto per integrare gli introiti di piccole e medie imprese fino a un milione di fatturato che hanno subito perdite del 70 per cento; oltre al differimento di tasse, contributi, affitti e utenze. Le garanzie pubbliche ammontano invece a 300 miliardi attraverso linee di credito attivate dalla Bpi, Banca pubblica per gli investimenti. Che garantisce per le aziende fino a 10 mila dipendenti; oltre interviene direttamente lo stato.

 

La Spagna ha potuto fare meno (100 miliardi di prestiti garantiti) e per questo aspetta i fondi del Mes sui quali c’è gran dibattito in Italia. Pur nel lockdown il governo ha consigliato alle aziende, specie nel turismo, di far rientrare i dipendenti dalla cassa integrazione, adottando orari a turno.

 

E gli Stati Uniti? E’ il paese più vicino a far decollare l’helicopter money, i soldi a pioggia: la Casa Bianca ha disposto un assegno ai cittadini di 1.200 dollari, il doppio per le coppie sposate inclusi 500 dollari a figlio. L’assegno è commisurato al reddito, e decresce oltre i 75 mila dollari, una soglia che in Italia definisce i Paperoni. Il budget per i sussidi di disoccupazione è stato aumentato di 250 miliardi. La Federal Reserve garantirà liquidità per 500 miliardi alle grandi corporation; altri 367 saranno prestiti alle piccole e medie imprese; 150 agli stati e contee. Con 500 o meno dipendenti c’è l’accesso a prestiti fino a 10 milioni dalle banche per coprire due mesi di stipendio, misura considerata insufficiente. Quello americano è il piano più imponente, 2 mila miliardi di dollari che Donald Trump promette di elevare. Ma è in larga parte assistenziale e non dovrebbe ridurre un aumento della disoccupazione al 35 per cento, e un calo del pil che le ipotesi più estreme stimano fino al 40 per cento. Ma ci sono le elezioni e l’elicottero scalda i motori.

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