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Mamma, ho perso gli aerei. La crisi del settore e i problemi della sua ripartenza

Andrea Giuricin

A marzo, causa pandemia, il traffico passeggeri è calato di oltre l’85 per cento, quello cargo del 34. Preservare il mercato con sussidi coordinati dall’Ue, non dai singoli interessi nazionali. Il rischio Alitalia

Il mese di marzo ha registrato un tracollo del trasporto aereo, con una caduta del traffico passeggeri di oltre l’85 per cento rispetto allo stesso mese dello scorso anno. La crisi è tuttavia estesa anche al settore cargo, dove la diminuzione è stata di circa il 34 per cento, confermando una forte difficoltà anche del settore logistico.

 

È bene partire da questi dati per potere immaginare il futuro del trasporto aereo. Le compagnie aeree sono lo specchio evidente di questa crisi, dato che tutte hanno lasciato a terra quasi l’intera flotta, ma il problema è di tutto il comparto, dall’handling fino alle società aeroportuali. Non si tratta quindi solo del collegamento aereo Roma - New York, cancellato da Alitalia, bensì di un intero settore alle prese con una crisi epocale.

 

La ripartenza, inoltre, non sarà immediata, e sia il mese di aprile che quello di maggio avranno quasi sicuramente dei numeri anche peggiori rispetto a marzo. L’estate rischia di essere molto complicata, con delle misure sanitarie, per quanto riguarda i passeggeri, molto restrittive in Italia. In molti altri paesi non si vuole andare nella direzione italiana del distanziamento sociale a bordo, perché è chiaro che nessuna compagnia aerea è profittevole con una capacità di carico massima di due posti su tre. I costi delle compagnie aeree resterebbero immutati a fronte di ricavi tagliati del 33 per cento. Ad oggi, nessuna compagnia è in grado di operare in utile con un tasso di riempimento del 66 per cento, tanto meno Alitalia che perdeva due milioni di euro quanto tutte le altre compagnie facevano utili.

  

È necessario dunque che l’insieme dei paesi dell’Unione europea vada nella stessa direzione, dietro le raccomandazioni dell’Easa (l’Agenzia europea della sicurezza aerea). Il rischio è infatti quello che altrimenti si venga a creare una situazione totalmente impossibile da gestire, nella quale, in ogni paese, una compagnia aerea debba bloccare o meno determinati posti (in funzione della legislazione nazionale). Il mercato aereo è invece chiaramente europeo dall’apertura alla concorrenza completata nel 1997 e come tale deve essere considerato. Da quel momento, l’Italia ha visto il numero di passeggeri passare da 53 milioni a 161 milioni. Se analizziamo il mercato liberalizzato completamente, quello domestico ed europeo, l’Italia ha surclassato anche la Francia. Se nel 1997 in Italia viaggiavano in questi due mercati meno di 43 milioni di persone, nel 2019 il numero era salito a circa 127 milioni di passeggeri. Nello stesso periodo, in Francia, il numero di passeggeri è cresciuto solo da 55 milioni a 108 milioni. In Italia il traffico per questi mercati aperti alla concorrenza è triplicato, mentre in Francia è solo duplicato.

  

Dobbiamo dunque preservare questo mercato e la sua ripartenza. La connettività dell’Italia, che nel corso degli anni ha permesso a molte persone di viaggiare e non più solamente ai ricchi come negli anni Ottanta, è il valore da tenere in considerazione per il post Covid-19. E per questo è sempre bene ricordare che la quota di mercato da e per l’Italia di Alitalia era ormai inferiore all’8 per cento.

 

Ma come sarà questa ripartenza? Gli interventi dei diversi stati nazionali, atti a salvaguardare singole compagnie di bandiera, hanno un effetto perverso, che è quello di distorcere il mercato. Gli aiuti al settore devono arrivare, ma devono essere coordinati dall’Unione europea. Cosa comporta invece la distorsione del mercato? Che le compagnie più brave a ricevere sussidi potranno continuare ad operare, a discapito invece di altre che non sono state capaci di prendere sussidi.

  

Questo porta a un’inefficienza del trasporto aereo che vedrà non solo meno passeggeri, ma anche prezzi dei biglietti molto più cari. Obbligare tutti i vettori ad avere l’inefficienza delle compagnie che perdevano soldi anche prima della crisi, non migliora il quadro futuro italiano. L’Italia rischia di uscire più perdente di altri paesi e il rischio è che questa debolezza si trasmetta anche al turismo e agli altri settori strettamente legati al trasporto aereo. Qui non si tratta più dunque solo di non sprecare ulteriori miliardi di euro in compagnie che non si reggevano in piedi prima della “guerra”, ma di creare le condizioni affinché le persone possano tornare a viaggiare come prima del Covid-19. Non ci possiamo permettere un mercato aereo solo per ricchi.

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