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Cattivissimo Mes

Valerio Valentini

Perché la spinta dell’Italia verso gli Eurobond è stata indebolita dalla scelta spagnola di puntare sul Mes

Roma. L’allarme, a quanto dicono, è arrivato questa mattina. Quando Iratxe García Pérez, decana dei socialisti spagnoli a Bruxelles e presidente del gruppo S&D ha fatto sapere ai colleghi italiani del Pd che tirarla ancora troppo per le lunghe, nelle trattative in seno all’Eurogruppo, poteva anche non essere una buona idea. Non per Madrid, almeno, dove l’infuriare dell’epidemia nel paese e il frantumarsi del clima di solidarietà nazionale dentro il Parlamento stanno spingendo Pedro Sánchez all’impazienza: “Per cui agli spagnoli potrebbe andare bene una riforma parziale del Mes, purché arrivi presto”, riferiscono europarlamentari socialisti. Insomma pochi maledetti e subito: con tanti saluti al fatidico “quarto pilastro”, quello del recovery plan che dovrebbe aprire la strada ai coronabond. E così, ecco che il fattore tempo rischia di rivoltarsi proprio contro chi, come Francia e Italia, su quella stessa contrattazione a oltranza un po’ iniziava a sperare: un po’ perché il dilagare del Covid-19 nel Nord Europa avrebbe tragicamente rivelato anche ai popoli più riluttanti la gravità della situazione, e un po’ perché, specie a Parigi, sono convinti che la Germania non si assumerà la responsabilità di sostenere le posizioni oltranziste, forse perfino provocatorie, degli olandesi. E allora, in un contorto tatticismo da cui a uscire un po’ abbrutita, al di là dei vinti e dei vincitori, è l’Europa nel suo insieme, ecco che anche la ferma fiducia degli esponenti del Pd nella linea dell’intransigenza ha traballato. Del resto la nota ufficiale con cui il Nazareno si schierava “con Conte, senza se e senza ma” nel dire Europa o morte, non era certo stata accolta con giubilo unanime dai parlamentari dem. Specie tra gli esponenti di Base riformista, poi, si sono levati anche commenti non ripetibili all’indirizzo dei responsabili della comunicazione.

 

Ma non era certo stata una svista. Quella presa di posizione, anzi, era maturata nel corso di una videoconferenza in cui il ministro Enzo Amendola e il responsabile Esteri della segreteria Emanuele Fiano avevano condiviso coi loro eurodeputati la necessità di restare compatti e rispondere con italica fermezza alla fermezza olandese. Convinti che “alla lunga, cederanno”. Ecco perché il rischio di una defezione spagnola è arrivata, ieri, come una minaccia alle fondamenta di questo castello di speranze e di ambizioni.

 

E insomma si è arrivati all’inizio della nuova decisiva notte di trattative dell’Eurogruppo con la solita incertezza, e con la sensazione generale che né Roma né l’Aja potranno evitare di recedere almeno un po’ dalle rispettive pretese, per far sì che un accordo si trovi. E, come spesso accade a Bruxelles, l’intesa potrebbe precipitare su degli stratagemmi linguistici che permettano a ciascuno dei pretendenti di poter cantare vittoria di fronte agli elettorati nazionali, agitando ognuno lo scalpo del nemico. Perciò, se tra le righe finali del documento licenziato in via telematica dai ministri dell’Economia e delle Finanze dell’Eurozona si farà cenno alla volontà di “discutere” (suggerimento tedesco) o di “istituire” (pretesa italiana) un fondo comune, senza che ciò impegni davvero nessuno ad azioni conseguenti, tutti potranno dirsi, almeno in parte soddisfatti. E se l’ambiguità della Merkel grava ancora come un’incognita che potrà decidere sugli equilibri generali (la cancelliera ieri s’è detta “d’accordo con Conte” sulla necessità della “solidarietà”, ma ha escluso che questa possa sostanziarsi negli Eurobond, facendo così contenti gli olandesi), anche le mosse della Francia restano da decifrare. Il timore di una convergenza tra Parigi e Berlino resta non proprio flebile, nell’animo di tanti dirigenti del Pd, che comunque fanno buon viso a cattivo gioco. E forse anche per dimostrare a tutti che fa sul serio, martedì Emmanuel Macron ha dato mandato al rumeno Dacian Ciolos, capogruppo di Renew Europe, di negoziare nel Parlamento europeo per convincere le altre formazioni della bontà dei “recovery bond”. E anche Sandro Gozi, che della proposta è stato il più convinto sostenitore, ribadisce che Parigi non cederà. “Anche se, probabilmente, l’accordo finale lo si troverà a livello di capi di governo”, dice l’eurodeputato macroniano. Quel che appare certo, però, è che dell’accordo farà comunque parte, insieme al fondo Sure e agli investimenti della Bei, anche il ricorso al Mes, sia pure con condizionalità del tutto attenute. A Palazzo Chigi lo si ritiene inevitabile, ormai: spetterà poi a Conte farlo digerire al M5s.

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