(foto LaPresse)

Conte e i giochi di prestigio per liberare il governo dalla morsa del grillismo

Salvatore Merlo

Lo slalom complicato tra gli anti Mes della maggioranza, il dibattito tossico e le soluzioni per disegnare il dopo

Roma. Doveva parlare alle 14 in conferenza stampa, ed è invece uscito dal suo studio di Palazzo Chigi che il sole era già tramontato da un pezzo, preso in ostaggio per più di cinque ore da una parte della sua stessa maggioranza, cioè dai grillini, e avvolto da un dibattito pubblico intossicato da slogan e fetecchie sul Mes e gli Eurobond. Con il Movimento 5 stelle impegnato contro la Lega, ma in un certo senso alla Lega affratellato, in una gara in cui il livello delle sparate da tutti snocciolate (e gestite da account social in fregola come per un incontro di box valido ai fini del titolo mondiale) si avvicinava a quote himalayane. Salvini, Borghi, Bagnai e compagnia cantante: “Traditori della patria”, “ce l’hai mes in quel post”, “sfiducia immediata”, “ci hanno fottuti arriva la Troika”… Mentre tra i grillini, nelle chat di WhatsApp, giravano persino video con militanti impegnati nel tentativo di dar fuoco alla bandiera europea (che però è ignifuga per via degli stessi regolamenti europei). Ma Giuseppe Conte, in queste occasioni – e anche in altre – è specialista nel farsi sempre più remoto, come distaccato e composto in una specie di eterea, impalpabile materia: “L’Italia non ha attivato il Mes”. Anzi. Il Mes già esiste, essendo un accordo raggiunto e firmato dai governi europei nel 2012. E l’Eurogruppo ha solo proposto la creazione di una nuova linea di credito, incondizionata e a tassi convenienti, finalizzata alle spese sanitarie per il Covid. “Eppure è scoppiato il Maracanà”, dice un ministro del Pd. “Prevedibilmente”, aggiunge. Nel governo sanno che l’accordo europeo siglato giovedì notte adesso appare una catastrofe per via delle aspettative che loro stessi avevano creato imbracciando ideologicamente la parola Eurobond e armandola contro la parola Mes. Due tossici feticci.

 

Il governo, che intende continuare a negoziare in Europa per arrivare a qualche forma di mutualizzazione del debito, si trova così immerso – assieme a tutto il paese che osserva e chissà cosa capisce – in un contesto di dibattito, dentro alla maggioranza e con l’opposizione, in televisione e sui giornali, che prescinde quasi completamente dalla realtà di quello che sta succedendo tra l’Italia e l’Europa e che realizza in forma tragicamente compiuta il trionfo più inquinato della comunicazione e della propaganda sulla politica stessa. Un mondo deformato, abnorme, in cui il governo dovrà districarsi tra escrescenze da lui stesso create – c’era chi nella maggioranza, come Pier Carlo Padoan, suggeriva infatti di non caricare di senso drammatico il negoziato sugli Eurobond. Esagerazioni prive d’ogni scala comparativa cui tuttavia Giuseppe Conte è già abituato, avendo avuto il piacere e il dispiacere di essere stato anche il presidente del Consiglio del governo in cui Lega e M5s erano gli sbrigliatissimi alleati “del cambiamento”. Il rapporto con la Lega, impegnata in una campagna di radicalizzazione delle parole e delle proposte, è al momento pressoché irrecuperabile assieme a quel clima di unità nazionale che mai era davvero decollato. Potrebbe diventare un problema, nella non improbabile ipotesi che la depressione provochi gravi sofferenze sociali, incendiando gli animi nel paese. E nel Pd, adesso, specialmente nell’area riformista che fa riferimento al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, proprio mentre i Cinque stelle si agitano terrorizzati urlando ancora “mai Mes sì Eurobond”, avanza un dubbio accompagnato da un suggerimento a Conte: attenzione a non fare un altro sbaglio tattico, dopo quello di aver troppo drammaticamente investito sugli Eurobond e spinto la Lega su posizioni ancora più estreme. Ovvero, attenzione a dire che “non useremo mai il Mes”. Potrebbe essere un altro detonatore, in futuro. D’altra parte, come sanno tutti, la nuova linea di credito incondizionata che è stata di fatto scorporata dal Mes è uno strumento che vale circa 40 miliardi, il 2 per cento del pil, e potrebbe tornare utile, anche perché porta con sé l’attivazione del cosiddetto “bazooka” della Bce, l’Omt. Dunque perché impiccarsi alle parole? Perché rifiutare? Solo perché altrimenti Vito Crimi si arrabbia? E il giorno che, non sia mai, dovesse diventare urgente fare ricorso a quel credito, come lo si potrebbe mai spiegare all’opinione pubblica, come si potrebbe evitare di dare ancora una volta ragione a Salvini, se si è al contrario contribuito a un’ingiustificata demonizzazione? Ieri sera Conte ha invece ripetuto che “l’Italia non ha bisogno del Mes. Il nostro strumento sono gli Eurobond. E lotteremo fino alla fine per ottenerli”. E se non li otteniamo?

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.