(foto LaPresse)

Frattini spiega perché non sarà il nuovo consiglio Ue a salvare l'Italia

Annalisa Chirico

"O mettiamo in comune problemi e opportunità oppure è meglio prendere atto che l’Unione ha smesso di esistere", ci dice l'ex ministro degli Esteri

Roma. “Il Mes non serve all’Italia”, dice al Foglio Franco Frattini, ministro degli Esteri del governo Berlusconi che nel luglio 2011 sottoscrisse il trattato istitutivo del Fondo salva-stati, versione uno. “Nel dibattito in corso si trascura un aspetto rilevante – prosegue l’ex ministro, oggi presidente di sezione presso il Consiglio di stato – L’assenza di condizionalità per l’accesso ai prestiti vale fintantoché l’emergenza è in corso: se tra qualche tempo l’Oms dichiarasse la fine della pandemia, i paesi beneficiari potrebbero ritrovarsi vincolati a dei rientro non ordinari. Il governo italiano fa bene a ribadire la volontà di non usufruire del fondo”. Il nostro paese potrebbe attingere circa 37 miliardi, dopo averne sborsati 14. “I soldi del Mes sono anche soldi nostri, del resto l’unico strumento per reperire denaro fresco, esterno al bilancio Ue, è costituito dagli eurobond. Ho il timore che il rifiuto di emettere titoli del debito pubblico europeo nasconda la volontà non dichiarata di diversi paesi membri di richiedere e ottenere, una volta archiviata l’emergenza, il ripristino del Patto di stabilità e l’imposizione di condizioni di rientro onerose. Se non fosse così, non si capirebbe la resistenza di un paese come la Germania, contributore netto al pari dell’Italia”. Secondo l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il Mes versione due, sottoscritto dal governo Monti nel febbraio 2012, differiva da quello antecedente. “Noi il testo del 2012 non lo avremmo mai avallato: come lo stesso Tremonti illustrò in una lettera al Financial Times cofirmata da Juncker, la nostra idea era di istituire un fondo salva-stati finanziato con gli eurobond. I due strumenti si tenevano in piedi a vicenda”.

 

Poi venne l’estate del 2011, l’Italia a rischio default, la lettera della Bce, sottoscritta da Draghi e Trichet, che dettava le misure di risanamento. “L’Italia subiva un attacco speculativo al punto che agli inizi di agosto lo spread arrivò a sfiorare i 390 punti, e al G20 di Cannes, a novembre, fu chiaro a tutti che, se avessimo accettato la versione più ampia e rigida, ci saremmo ritrovati con la Troika in casa, come avvenne poi a Grecia e Portogallo. Così a Roma s’insediò un nuovo governo che sottoscrisse il Mes nella formula più estesa”. Tremonti parla della “chiamata dello straniero”. “La storia è stata, in parte, scritta. L’ex segretario Usa al Tesoro Timothy Geithner ha rivelato in un libro la frase pronunciata, all’epoca, dall’ex presidente Barack Obama, restio ad appoggiare il piano franco-tedesco: ‘Non possiamo avere le mani sporche del sangue di quest’uomo’, riferendosi appunto a Berlusconi. Eravamo l’unico paese nel mirino della speculazione internazionale Il Patto di stabilità, all’epoca, era il Vangelo, oggi è stato sospeso”.

 

Il Fmi stima una caduta del Pil italiano di 9 punti percentuali. “La ripresa sarà un percorso in salita ma gli italiani hanno risorse per farcela. Perciò non si può sottovalutare il rischio che nel post emergenza qualcuno dica: se avete beneficiato del fondo, dovete rientrare attuando le seguenti riforme sotto dettatura”. Per i paesi del nord, l’Italia continua a far debito per vivere al di sopra delle proprie possibilità. “Tali obiezioni si possono sollevare in tempi normali ma non in emergenza. Di fronte alla più grave pandemia dai tempi della Seconda guerra mondiale, con ventimila morti soltanto nel nostro paese, non si può ignorare il dovere di solidarietà, inscritto nei trattati istitutivi e senza il quale verrebbe a mancare la ragione dello stare insieme”. Lei, da europeista, come giudica il profluvio di critiche che il centrodestra muove a “questa” Europa? “Il percorso europeo è stato sempre accidentato, io ho assistito nel 2004 alla firma del Trattato costituzionale di Roma, poi bocciato da Francia e Olanda per via referendaria. L’Europa è un dono che porta frutti soltanto se c’è una guida politica. L’attuale commissione von der Leyen, al pari della precedente, è priva di visione politica ma l’Europa, in assenza di leadership, si riduce a un club diretto dalla Germania, da sola o con la Francia”. Il Consiglio europeo del 23 aprile potrebbe segnare un turning point per l’Europa e per il governo Conte. “Dalla mia esperienza ho imparato che solitamente, quando non si vuol decidere, si rinvia o si convoca un tavolo tecnico. L’Italia dovrebbe porre un tema politico: o mettiamo in comune problemi e opportunità oppure è meglio prendere atto che l’Ue ha smesso di esistere”.