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editoriali

I miliardi dell'Europa che ci sono già

Redazione

La Commissione cambia i parametri per i fondi strutturali. Fare presto

In attesa che nel Consiglio europeo del 23 aprile si chiarisca se Giuseppe Conte si è imbarcato in una crociata senza se e senza ma anti Mes e sì Eurobond, qualcosa a Bruxelles si muove in senso favorevole a paesi come l’Italia che si troveranno a fronteggiare nel 2020 una recessione stimata al 9 per cento. Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis, commissario e vicepresidente della Commissione per l’Economia, hanno entrambi parlato di Covid-bond, o Recovery-bond; e se il favore di Gentiloni è noto la novità sono le aperture di Dombrovskis, già considerato un falco. “Il tema sarà sul tavolo” ha detto al quotidiano economico tedesco Handelsblatt: “Potremmo finanziare il fondo con garanzie degli stati membri”. Nel frattempo l’Italia non può trascurare gli strumenti che l’Europa ha già immediatamente messo a disposizione. Un esempio sono i fondi strutturali che in tempi normali dovrebbero finanziare investimenti in aree depresse (come in Italia la banda larga nel Mezzogiorno), e che se non utilizzati tornerebbero nel bilancio comune. Bruxelles ha deciso di renderli nuovamente disponibili oltre alla quota del bilancio futuro, da approvare. Si tratta di cifre che tra Fondo sociale e Fondo di sviluppo regionale oscillano tra 10,2 e 24,6 miliardi (rispettivamente 8,1 più 16,5). Dalle altre capitali stanno arrivando le domande. Il Belgio per turismo e ristoranti. La Spagna per finanziare il ricollocamento al lavoro assieme al progetto Sure da 100 miliardi di Ursula von der Leyen. Né Madrid, che pure appoggia gli Eurobond, si tirerà indietro sull’accesso al credito del Mes senza condizioni. L’Italia deve prendere e impiegare bene i fondi strutturali, residui e nuovi.

 

Sotto traccia la partita è iniziata, anche da parte di regioni e settori che non hanno speso i fondi pregressi. Poiché siamo a maggio, il modo più intelligente è convogliarli al settore turistico che è alle prese con un doppio problema: il crollo di prenotazioni e delle presenze, e la riorganizzazione delle strutture in base alle norme sanitarie, almeno per questa estate. Se lo fa il Belgio, che non è precisamente una meta balneare, perché non l’Italia che è la quinta destinazione turistica del mondo e dove il settore rappresenta il 16 per cento del pil? 

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