Giuseppe Conte e Angela Merkel (LaPresse)

Come l'emergenza può ridisegnare le relazioni diplomatiche nell'Unione europea

Jean-Pierre Darnis e Federico Niglia

L'importanza dei canali bilaterali e l'occasione per l'Italia di approfittare dei rapporti con Francia e Germania

Il responsabile del reparto di rianimazione di un ospedale del Nord Est della Francia, una delle zone maggiormente colpite, ha recentemente ringraziato la Germania per aver accolto più di cento pazienti provenienti dalla Francia, evitando così il collasso di strutture già fortemente congestionate. Anche dal Nord dell’Italia sono stati effettuati diversi trasferimenti di pazienti verso la Germania. È certamente vero che la Germania non è l’unico paese ad aver attivato una politica di accoglienza (iniziative analoghe sono state intraprese da Svizzera e Lussemburgo), ma va sottolineato il fatto che Berlino ha definito una strategia europea di coordinamento con altre strutture sanitarie europee.

 

Possiamo partire da questo dato apparentemente non problematico per ragionare sulle relazioni (queste sì più che problematiche), tra Italia, Francia e Germania. In Francia vi è un senso di gratitudine per i tedeschi, vicini nei momenti difficili, a dimostrazione di una percezione positiva che non viene contaminata da altri sentimenti. Discorso diverso per l’Italia: anche qui la gratitudine non manca, ma lo slancio di affetto si mischia quasi subito con un rancore per l’intransigenza mostrata dal governo tedesco di fronte alle richieste italiane fatte all’Unione europea. Quest’ultimo è un sentimento fortemente diffuso, come mostrano gli ultimi sondaggi, nei quali la scarsa fiducia per la capacità dell’Ue di risolvere i problemi dell’Italia si accompagna alla convinzione che la Germania abbia un atteggiamento vessatorio (secondo alcuni anche predatorio) verso l’Italia.

 

In Francia e Germania esistono formazioni ultra-nazionaliste che fanno dello straniero il simbolo di ogni male. Ma queste critiche vanno rivolte alle politiche che hanno portato un’immigrazione di origine extra comunitaria nella comunità nazionale, che esse siano storiche come nel caso della discendenza di immigrazione magrebina in Francia oppure più recenti come nel caso tedesco dell’immigrazione turca o delle ondate di profughi provenienti dal medio oriente. In tutti questi casi un argomento molto forte riguarda la paura della religione musulmana, come conferma l’analisi della narrativa di formazioni come il Rassemblement National o Alternative für Deutschland.

 

L’emergenza sta però aggiungendo a queste misperceptions degli ulteriori stereotipi, tra cui quello tra Europa del “Nord” ed Europa del “Sud” che si sovrappone (in modo tra l’altro non perfetto) a quello tra paesi più indebitati e paesi meno indebitati. Questo certamente appesantisce il quadro delle emozioni collettive e condiziona i rapporti tra governi, questi ultimi sono sempre più costretti, in un momento come quello attuale, a non perdere il contatto con i propri “popoli”.

Il mito del nemico esterno

Un triangolo diplomatico particolarmente importante ma fortemente problematico è, nella storia come nella fase attuale, quello tra Italia, Francia e Germania. Ciascun paese porta con sé un bagaglio di stereotipi e pregiudizi, bilanciato però da interessi concreti e da uno slancio costruttivo all’interno del quadro europeo. Non si può però negare che, nel corso degli ultimi due anni, si sia assistito ad una tensione crescente, coincisa con il cambio di passo politico realizzatosi in Italia a partire dal 2018. In tutti i paesi europei si assiste ad una reviviscenza del concetto di nemico esterno, con la differenza che negli ultimi anni il nemico esterno è stato sempre più ricercato alle porte di case, all’interno di quell’Unione europea che invece dovrebbe servire a proteggerci dai veri nemici esterni.

 

Il mito del nemico esterno ha avuto un certo peso nella retorica dei due partiti maggiori dell’Italia post-2018: sia la Lega che il Movimento cinque stelle hanno veicolato una retorica euro-critica che includeva un attacco specifico a Francia e Germania. Contrariamente al passato, queste non sono state messe in stato d’accusa in quanto espressione di un presunto “asse” che escludeva l’Italia, ma perché premevano indipendentemente sull’Unione europea a favore di politiche lesive per il belpaese. Tale atteggiamento critico non è rimasto limitato alla dimensione di partito, ma si è tradotto, in alcuni momenti, in una linea di governo. Nel 2019 il primo esecutivo Conte è giunto sul punto di una rottura delle relazioni diplomatiche con la Francia, un episodio che giungeva dopo anni dove la Francia e il suo presidente venivano spesso designati come nemici da parte delle forze sovraniste. Anche con la Germania non sono mancati i passaggi particolarmente tesi, gestiti con maestria da un consigliere diplomatico che conosce molto bene Berlino.

 

Un rapporto non semplice

Non si deve però pensare che il vertice problematico di questo triangolo sia solo l’Italia. Il rapporto fra la Francia e la Germania non è semplice. È innanzitutto necessario chiarire che l’idea di “asse franco-tedesco” è per molti versi peregrina. È certamente vero che i due paesi hanno saputo operare un superamento del passato delle guerre mondiali, e in questo senso il Trattato dell’Eliseo del 1963 ha definito un modello di collaborazione e intesa tra i due paesi. Si tratta però di due paesi che non hanno la stessa concezione della politica, sia interna sia estera, e dunque l’idea di un asse risulta tanto attraente dal punto di vista mediatico quanto difficile da accettare.

 

Sarebbe illusorio pensare che solo paesi perfettamente allineati nella strategia e nella visione possano collaborare. L’intesa è possibile anche al tempo del Covid-19, anzi si può dire che proprio l’emergenza sanitaria pone una sfida di integrazione superiore rispetto al passato recente, quando ci si poteva accontentare di rapporti freddi o tesi senza che questo si traducesse in un danno  sia in termini politici sia economici per gli incendiari. Un errore consiste nel pensare che la soluzione alle tensioni europee vada trovata esclusivamente in ambito comunitario: camera di compensazione di interessi contrapposti e sovraesposta dal punto mediatico, la diplomazia dell’Unione deve trovare un valido completamento attraverso il dialogo bilaterale. Rimane però il problema dell’individuazione degli strumenti più idonei a definire un canale bilaterale più istituzionalizzato.

 

La recente storia dei rapporti italo-francesi è stata caratterizzata da forti oscillazioni. Negli ultimi due anni il campo sovranista italiano ha spesso stigmatizzato Emmanuel Macron. Tra l’altro numerosi erano i dossier di attrito concreto fra Parigi e Roma. Oggi, però, il presidente francese si presenta su posizioni economiche che convergono con quelle espresse dal governo italiano. Si può inoltre prendere atto del fatto che i dossier più critici (ad esempio quello della Libia) sono stati messi in ombra della crisi del Covid. A febbraio scorso si è svolto a Napoli un bilaterale Francia-Italia che ha segnato un nuovo corso dopo anni di opposizione e rottura. All’interno di questo percorso è stata anche testata una proposta innovativa: quella del “Trattato del Quirinale”, fortemente voluta dai francesi per strutturare il loro rapporto con l’Italia seguendo il modello franco-tedesco. Fino ad oggi questa soluzione non è stata realmente presa sul serio dagli italiani, che hanno voluto mantenere le mani libere nei rapporti con Parigi, ma tale opzione potrebbe riguadagnare credito in un momento come questo, ponendo le basi per una convergenza di lungo periodo tra Italia e Francia circa la strategia di riforma dell’Unione Europea.

 

Non è certamente possibile applicare questo strumento ai rapporti tra Italia e Germania. A parte la ritrosia sintattica dei due paesi a utilizzare il termine “asse” e ad avvalersi di strumenti pattizi che vadano in tal senso, va detto che il problema che riguarda Italia e Germania non riguarda l’effettiva convergenza di interessi, ma la comprensione e l’esplicitazione degli interessi comuni. Nell’attuale momento si assiste a un forte scadimento nella retorica della contrapposizione: il passato è tornato a intossicare il presente, in un crescendo di livore di cui forse non si comprendono bene le implicazioni. Quello che viene taciuto è il patrimonio comune ai due paesi: l’unico argomento che, pur timidamente, viene in risalto è quello del profondo legame commerciale e produttivo tra i due paesi. Faticano a emergere, invece, una concezione non dissimile della democrazia, che i due paesi hanno saputo costruire in parallelo dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, nonché un’idea non dissimile di Europa (all’interno della quale si può declinare un’idea di Unione europea). Ma il punto in comune più importante ai due paesi, sul quale non ci si sofferma quasi mai, è quello dell’apertura: per motivi diversi, i due paesi hanno dal secondo dopoguerra in poi, deciso di “vincolarsi” all’Europa (e, ad avviso di chi scrive, all’Occidente, da intendere come categoria intellettuale). A prescindere che lo si chiami Westorientierung, Europapolitik, vincolo esterno o qual si voglia modo, l’agganciarsi all’Europa ha permesso ai due paesi di riformarsi e di ripensarsi senza per questo perdere la propria identità.

 

Nel triangolo italo-franco-tedesco il partenariato tra Parigi e Berlino è al momento quello più solido, ma anche quello più “scontato”. Molto si può invece fare sugli altri fronti, e in particolare su quelli che hanno come riferimento l’Italia. Naturalmente, questo discorso ha senso nell’immediato, in un momento in cui l’Europa e soprattutto l’Italia vive la competizione, ma anche l’interferenza di potenze esterne che potrebbero trarre evidente beneficio da un indebolimento europeo. Il tutto pero se si superano percezioni di ostilità per coltivare un senso dell’interesse comune, più che mai necessario.

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