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Gli assurdi emendamenti grillini che incartano il decreto “Liquidità”

Valerio Valentini

La maggioranza s’inceppa sul decreto “Rilancio” e il M5s fa del suo meglio anche sull’altro dl economico: ipotesi Ccf sul modello minibot

Roma. Siccome la situazione è grave ma non è seria, ecco che il M5s pensa bene di schierare Pino Cabras, deputato filomadurista ed euroscettico che ottiene di vedere tra gli emendamenti “segnalati”, dunque quelli che il suo partito ritiene prioritari nella discussione al decreto liquidità, quello sull’introduzione dei Crediti di compensazione fiscale. Vecchio cavallo di battagli di Elio Lannutti, quello dei Savi di Sion e dei nipotini di Hitler, i Ccf sarebbero una sorta di moneta fiscale parallela, un po’ sul modello dei famigerati minibot. E sembrerà un’innocente alzata d’ingegno grillina, ma anche questa finirà al vaglio degli uffici del Mef. Dai tecnici di Roberto Gualtieri sarebbe dovuta arrivare una risposta entro oggi, al massimo domani: questa, almeno, era la speranza dei deputati delle commissioni Finanze e Attività produttive, che attendono di avviare l’analisi del decreto che dovrebbe garantire lo sblocco della fatidica liquidità alle imprese. E invece i pareri del governo non arriveranno, pare, prima di venerdì mattina. Anche perché il binario di questo decreto, approvato dal Cdm l’8 aprile scorso, s’incrocia inevitabilmente con quello che invece il Cdm dovrebbe partorire nel frattempo, e cioè quel decreto che fu “Aprile”, e poi “Maggio”, e dunque più prudentemente ribattezzato “Rilancio”, e che a dispetto degli annunci quotidiani anche ieri è stato rimandato a oggi, in un balletto che dura da sabato scorso e che si concluderà comunque, quasi fatalmente, con un’approvazione “salvo intese” che a Palazzo Chigi danno per inevitabile. Con tutta l’incertezza che questo comporterà. “Finché non c’è un quadro definito sul Rilancio, non è semplice capire cosa inserire e cosa escludere dal Liquidità”, dice Luca Carabetta, deputato del M5s e relatore del provvedimento, ormai rassegnato alla corsa contro il tempo per portare il testo in Aula a metà della prossima settimana.

 

 

E del resto, nel frattempo al governo si bisticcia un po’ su tutto. Non solo sulla regolarizzazione dei migranti – controversia politica che tiene in stallo il dl Rilancio, ma che serve a coprirne altre, di carattere tecnico, su cui ieri sera più d’un ministero era ancora al lavoro – ma anche sulla questione della riapertura di bar e ristoranti prevista per il 18 maggio. Ieri dallo staff del ministro della Salute, Roberto Speranza, è stata diffusa l’idea di concedere il privilegio della cena al ristorante ai solo famigliari autocertificati, e a parecchi esponenti di maggioranza è parso di ripiombare nella replica di un brutto film già visto. Al punto che Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato, s’è preso la briga di lanciare l’appello: “Metto le mani avanti: finiamo la stagione delle autocertificazioni, usciamo dall’astruseria dei congiunti”.

 

Ma per una autocertificazione che (forse) si riuscirà a evitare, un’altra potrebbe essere introdotta. Sì, perché la maggioranza pare intenzionata ad accogliere l’emendamento che Italia viva ha presentato al decreto Liquidità con l’obiettivo di sbloccare le lentezze e le resistenze di molte banche nell’erogazione dei prestiti. Forza Italia chiedeva una sorta di manleva legale, così da mettere i responsabili degli istituti di credito al riparo dagli eventuali guai giudiziari in cui dovessero incorrere le aziende a cui viene concesso il credito. Ma le ubbie anti-bancarie del M5s hanno spinto i renziani a proporre una soluzione di compromesso: una dichiarazione che gli imprenditori sono tenuti a firmare nel momento della richiesta del prestito, attestando in sostanza la solidità della loro azienda. “E’ una strada sempre poco intrapresa in Italia”, spiega Luigi Marattin, “coniugare autonomia e responsabilità. Invece di far pagare alla stragrande maggioranza di imprenditori onesti le colpe di pochi delinquenti, applichiamo una ricetta liberale: responsabilizziamo l’individuo, e puniamolo seriamente – con certezza della pena – se ha dichiarato il falso. Solo così liberiamo il sistema da sospetti e inefficienze”.

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