(foto Unsplash)

Un paese dispensato dall'attrito con la realtà

Guido Vitiello

Nelle nazioni sottosviluppate si supplisce con le parole e la fantasia all’arretratezza della società. Ecco perché in Italia le teorie accelerazioniste hanno subìto un interesse maggiore

Grazie all’ottimo volumetto introduttivo di Tiziano Cancelli – “How to accelerate”, Tlon editore – ho potuto finalmente soddisfare tutte le mie curiosità sull’accelerazionismo, che a dire il vero non erano moltissime. Si tratta di un pasticcio teorico preparato nelle cucine accademiche britanniche e farcito fino a scoppiare di ingredienti alquanto indigesti – cibernetica, marxismo radicale, occultismo pop, fantascienza, gli immancabili Deleuze e Guattari – secondo cui l’unico modo per andare oltre il capitalismo è accelerarne le spinte disgregatrici, specie quelle provenienti dalla tecnologia. Una frase più di tutte mi ha colpito: “Fra i paesi di lingua non anglofona, l’Italia è sicuramente quello in cui le teorie accelerazioniste hanno subìto un interesse maggiore”. Credo di sapere il perché. Ma preferisco che a dirlo sia Luigi Barzini, intervistato più di quarant’anni fa da Federico Orlando (in “La cultura della resa”, Edizioni dello Scorpione, 1976): “Nei paesi sottosviluppati, o sviluppati troppo rapidamente, nei quali le abitudini, i consumi e i metodi di lavoro sono (o sembrano) moderni ma la mentalità è ancora arcaica, vanno di moda, nell’arte come in politica, le teorie più audaci e inverosimili. Nessuna avanguardia è più avanzata di quelle di alcune repubbliche africane di recente arrivate all’indipendenza. Si supplisce, cioè, con le parole e la fantasia all’arretratezza della società”. Ebbene, quale paese migliore per accelerare di quello in cui la retorica volteggia senza freno come l’ippogrifo di Astolfo, magicamente dispensata dall’attrito con la realtà?

Di più su questi argomenti: