Antonino Scannapieco alla Farnesina

Guido Vitiello

Il funambolismo verbale del protagonista de "Il Bi e il Ba" produceva effetti incongrui sul mondo, come Di Maio che ordina la stampa di decine di tessere per il Reddito in assenza di leggi

Quando Maurizio Nichetti e Nino Frassica, nel 1985, s’inventarono il piccolo capolavoro che dà il nome a questa rubrica, certo non immaginavano di comporre un trattatello sulla lingua politica nell’Italia di trent’anni dopo. Eppure era già tutto lì, nel viaggio picaresco di Antonino Scannapieco dalla Sicilia a Roma in cerca di un rimedio per il dramma della forfora. “Il Bi e il Ba” era un’ubriacante rassegna di giochi di pragmatica linguistica che avrebbero fatto la gioia di Austin e Searle. Antonino (Frassica) passava da un incontro all’altro tentando di “fare cose con le parole”, e ogni suo funambolismo verbale produceva effetti incongrui sul mondo. Perché per fare veramente cose con le parole occorrono quelle che Austin chiamava “condizioni di felicità”, che riguardano i parlanti e il contesto, e ad Antonino mancavano regolarmente. Se per esempio io dico “vi dichiaro marito e moglie” ma non sono un prete o un delegato del comune, sto solo simulando un’azione, un po' come Salvini che annunciava di chiudere i porti senza averne il potere. Oppure, se scrivo nel testamento “lascio il mio orologio d’oro a mio nipote” ma non possiedo un orologio d’oro, l’atto non si compie, più o meno come quando l’ex ministro Fioramonti annuncia un versamento su un conto corrente che non esiste o quando Di Maio ordinava la stampa di milioni di tessere per il Reddito di cittadinanza in assenza di leggi e regolamenti. Il guaio è che Antonino, con questo metodo, passava di trionfo in trionfo, e se il profetico film fosse durato un po’ più a lungo ce lo saremmo ritrovato alla Farnesina.

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