(foto LaPresse)

Tutti al lavoro per il vaccino, ma anche per i nuovi farmaci

Daniele Bonecchi

Aziende, centri di ricerca, università, pubblico e privato. Così si muove la macchina della scienza

Come una rivalsa, dopo avere perso l’occasione più importante: l’Ema. O piuttosto un gesto “riparatore”, davanti a tutti quei morti. Certo non è una prova muscolare. Piuttosto la dimostrazione che i centri di ricerca e le imprese del farmaco del nord sanno guardare avanti. Competenza, impegno e anche generosità. Il Covid ha portato allo scoperto – nel caso ce ne fosse bisogno – anche un potenziale straordinario. La regione più provata dalla pandemia ha messo al lavoro tutti e infatti qui non si parla solo di vaccino ma anche di farmaci indispensabili a curare le migliaia di persone contagiate di oggi e forse di domani. In prima linea c’è la Dompé farmaceutici, azienda biofarmaceutica, fondata nel 1940 a Milano, che sta lavorando su due linee: la realizzazione di un vaccino (ma occorreranno almeno 18 mesi) e l’individuazione di una terapia farmacologica efficace. Exscalate4CoV, è il consorzio pubblico-privato a guida Dompé che oggi riunisce 33 realtà e    che sta effettuando il più ampio screening a livello mondiale per individuare un trattamento efficace per il Covid-19 fra i principi attivi conosciuti e i farmaci in uso. Fulcro del progetto la piattaforma di supercalcolo Exscalate sviluppata da Dompé e già attiva su un progetto Antarex con Cineca e Politecnico di Milano. Si tratta di una “biblioteca chimica” di 500 miliardi di molecole, una capacità di 3 milioni di molecole valutate al secondo, grazie ai centri di supercalcolo che hanno aderito. Dal 1° aprile sono state testate 6.000 molecole, che hanno portato alla valutazione pre-clinica di 40 molecole con un profilo interessate contro il Covid-19. La Commissione europea ha sostenuto il progetto con un finanziamento di 3 milioni di euro all’interno del Bando Horizon 2020 sul contrasto del Covid 19. “Stiamo assistendo al primo reale esempio virtuoso di collaborazione pubblico-privato in cui tutti hanno pensato solo a mettere a disposizione le migliori conoscenze e strumentazioni possedute a supporto del progetto”, spiega Andrea Beccari, responsabile per Dompè del progetto Exscalate. “Hanno aderito ben 18 istituzioni e centri di ricerca di sette paesi europei e stanno partecipando altre realtà che via via danno appoggio al progetto sotto altra forma, fra cui il recente ‘drug box’ che vede confluire nuove molecole date da aziende o centri di ricerca e Università. Abbiamo costituito un enorme database di principi attivi con computer potentissimi in azione. La conoscenza della struttura del virus ci ha consentito, non appena è stato reso noto il suo genoma, di partire con una prima valutazione di tutte le molecole che sono immediatamente disponibili per l’utilizzo e per la produzione. Si tratta di un database ‘ristretto’ di circa 10 mila principi attivi che i medici, ovviamente, non possono provare direttamente su pazienti. Possono farlo, magari, con un numero ristretto di antivirali di cui si conosce già a livello clinico un’azione contro i coronavirus. I possibili candidati verranno sottoposti ad altre valutazioni per arrivare a strutturare insieme con Ema un modello di sperimentazione efficace”, conclude Beccari. I risultati sono attesi entro giugno.

 

I ricercatori e gli scienziati di Human Technopole – il centro di ricerca ospitato da MIND (Milano Innovation District) dove un tempo sorgeva il sito di Expo – hanno avviato nuovi progetti e collaborazioni con i principali istituti di ricerca scientifica in Italia e nel mondo. Human Technopole, sotto la guida di Giuseppe Testa, capo del Centro di ricerca per la Neurogenomica, professore di Biologia molecolare alla Statale di Milano e direttore dell’High Definition Disease Modelling Lab presso l’Istituto europeo di oncologia, sta guidando il progetto COVIDIamo, che fa parte dell’iniziativa “LifeTime for Covid” lanciata da LifeTime. LifeTime è il consorzio di ricerca paneuropea che mira a rivoluzionare l’assistenza sanitaria attraverso la comprensione e il monitoraggio delle malattie umane a risoluzione di singole cellule per migliorare l’assistenza dei pazienti e la sostenibilità dei sistemi sanitari. Il consorzio riunisce oltre 120 scienziati di oltre 90 istituti di ricerca europei. L’Università degli studi di Milano è il capofila per l’Italia del consorzio, mentre lo Ieo è un partner associato. Il progetto prevede l’applicazione di tecnologie all’avanguardia, come analisi omiche singola cellula, organoidi e metodi computazionali, per acquisire una migliore comprensione della malattia attraverso l’identificazione di predittori e meccanismi che possono aiutare a combattere la pandemia in corso e la circolazione prolungata del virus Sars-CoV-2.

 

“In Humanitas, con San Raffaele e Spallanzani, studiamo la prima linea di difesa immunitaria, dove ci sono delle molecole che funzionano come gli antenati degli anticorpi e ci difendono da diversi patogeni, compreso un membro della famiglia coronavirus”, ci dice il professor Alberto Mantovani, patologo e immunologo. “Se funzionassero potremmo espanderle, costruirle con la biotecnologia e iniettarle. Un lavoro che potrebbe richiedere uno o due anni, mentre in tempi brevi cerchiamo di capire se queste stesse molecole possono costituire dei biomarcatori di gravità per testare in che modo un contagiato reagisca al coronavirus”. Per ora, per contrastare il virus si sta facendo medicina di guerra, utilizzando strumenti terapeutici diversi. Come gli antivirali, l’Avigan e altri due antiretrovirali, la combinazione anti-Hiv Lopinavir/Ritonavir, che è stata utilizzata in Cina. Sul fronte del vaccino, oggi, spiega Mantovani, “sono in corso una ventina di studi, tra cui uno a Pomezia, dove già hanno sperimentato con successo il vaccino contro Ebola. In modo realistico, ci vorranno almeno 18 mesi prima di avere un vaccino”. Anche l’Europa, come istituzione, si è mossa per favorire la ricerca. Obiettivo iniziale: raccogliere 7,5 miliardi di euro con cui finanziare la scoperta e la produzione di un vaccino oltre che di terapie efficaci per combatterlo nelle persone contagiate. L’iniziativa è co-organizzata da Unione europea, Gran Bretagna, Norvegia, Giappone, Canada e Arabia Saudita e mira a raccogliere i fondi nell’arco di diverse settimane, aggiungendo alla dote già messa a disposizione dalla Banca mondiale e dalla fondazione Bill e Melinda Gates oltre che da altri donatori privati. Anche il premier Giuseppe Conte ha manifestato la volontà dell’Italia di partecipare alla raccolta. E sarà cruciale per l’Italia, e anche per la sua filiera scientifica e di industria biomedica, essere al centro di tutte le partite in corso. Ma nessuno poteva immaginare che la lunga corsa a caccia di una terapia e di un vaccino efficaci potesse partire dalle tre ricercatrici precarie Alessia Lai, Annalisa Bergna e Arianna Gabrieli, del team dell’Università Statale e dell’ospedale Sacco di Milano che, assieme al loro collega Maciej Tarkowski e al professor Gianguglielmo Zehender, sotto il coordinamento della dottoressa Claudia Balotta, hanno isolato, a fine febbraio, il ceppo italiano del coronavirus. Un risultato importante, il primo passo per sconfiggere la pandemia.

Di più su questi argomenti: