(foto LaPresse)

La forza del virus

Enrico Bucci

Diffidare della storiella che ormai sarebbe indebolito. Le morti sono in proporzione al numero degli infetti

Circa un quarto di tutte le morti registrate nel mondo per Covid-19 sono ormai negli Stati Uniti, e circa un quarto dei casi registrati sono parimenti in quella nazione. Questa semplice proporzione dovrebbe far riflettere su che cosa significa lasciare che la risposta a un virus, come ribadito ieri ancora una volta da Anthony Fauci, sia “disparata” e variabile a livello locale, così che i nuovi casi giornalieri negli Usa oggi si trovino a un livello costante “inaccettabile”, sempre per usare le parole di Fauci. Naturalmente, la proporzionalità tra morti e casi registrata rispetto al resto del mondo ci dice anche una seconda, importante cosa: al di là delle variazioni locali, quando si considerano campioni sufficientemente ampi, il danno che l’infezione apporta a una nazione è proporzionale al numero degli infetti – purché, ovviamente, si consideri un campione di infetti sufficientemente grande.

 

Ora, in Italia si comincia a osservare da qualche tempo una ripresa dei contagi. A questa ripresa, non fa ancora seguito una ripresa delle morti; ma l’effetto ritardo tra i primi e le seconde può essere esteso a varie settimane, se – come accade in Italia – la circolazione attuale (a partire almeno dalla fine di maggio, a vedere i dati del rapporto Istat sull’indagine sierologica) interessa gli anziani molto meno che non all’inizio dell’epidemia.

 

Questo comporta, ovviamente, che la proporzione attesa di morti è non solo più bassa, ma a causa della minore incidenza pro capite anche che sia necessario che l’infezione cresca per un po’, prima che se ne vedano gli effetti; per cui, se riuscissimo a evitare che l’attuale trend di crescita dei casi quotidiani (che comunque sono sempre rimasti mediamente sopra il centinaio anche nei periodi di minimo) continui, impennandosi secondo la nota legge esponenziale, forse riusciremo a rendere impercettibile l’aumento nelle perdite di vite umane. Val la pena ricordare in questo senso le dichiarazioni ottimistiche rilasciate dai governatori di diversi stati americani, e da alcuni scienziati di quel paese, i quali di fronte all’aumento dei casi, sottolineavano la continua decrescita delle morti, in un trend che ha continuato a biforcarsi finché non è passato un tempo sufficiente a che il numero di pazienti giornalieri crescesse abbastanza da cominciare a “produrre” morti (qualche settimana dopo) non più in quantità minime; morti che continuano ad aumentare in Usa ancora oggi, nonostante i casi giornalieri siano invece stabili a quel livello “inaccettabile” denunciato da Fauci, per il menzionato effetto di ritardo.

 

Queste cose le sappiamo bene, sono note a tutti, sono state osservate in più situazioni differenti e addirittura per virus diversi da Covid-19; chi quindi, per minimizzare l’aumento dei casi, continua a ripetere la storiella che il virus ormai sarebbe indebolito e quindi quell’aumento non dovrebbe essere considerato preoccupante, sta commettendo lo stesso errore che già commise a gennaio, quando il virus era “cinese” e comunque non sarebbe stato in grado di procurare danni maggiori dell’influenza. Sta cioè raccontando una pericolosa bugia autoconsolatoria, che ha il solo scopo di autogiustificare un comportamento irresponsabile nei confronti della comunità in cui si vive (nel caso si sia un negazionista in prima persona) o di indurre altri a consumare e a continuare il “business as usual”, senza dire la verità – che bisogna il più possibile riprendere la vita economica del paese, ma senza sacrifici umani da nascondere sotto una rosea bugia per evitare di intralciare il funzionamento della macchina dei consumi.

 

E’ necessario tornare al lavoro, non serve stare chiusi in casa, e ci si può rilassare all’aperto a distanza di sicurezza dagli altri; ma mascherine, distanziamento, igiene delle mani, tracciamento e contenimento dei focolai sono indispensabili anche e proprio per evitare quello che in Usa sta avvenendo – che non è solo un disastro sanitario, ma anche una perdita di oltre il 30 per cento del pil nel periodo tra aprile e giugno, rispetto al periodo precedente. Perché i morti, la malattia e il virus non galvanizzano le spese, ma portano le persone a preoccuparsi di una preoccupazione che non può essere vinta con le bugie o la propaganda.

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