(foto LaPresse)

Cattivi scienziati

Covid e danni indiretti

Enrico Bucci

Il coronavirus e gli sforzi per arginarlo rischiano di aprire falle nella cura di altre malattie

Sempre più di frequente, si discute dei danni indiretti alla salute causati dall’emergenza sanitaria indotta dalla pandemia di Covid-19, che ha procurato notevoli danni alla routine ospedaliera anche per patologie gravi, senza contare le difficoltà di approvvigionamento di materiale sanitario, particolarmente per quelle nazioni più povere che dipendono da trasporti internazionali su lunga distanza.

    

Un recente articolo su Lancet Respiratory Medicine, per esempio, ricorda come un lavoro di modellistica appena rilasciato preveda che il Covid-19, a causa di effetti indiretti quali la diagnosi diminuita, minore trattamento e minore aderenza alla terapia, potrebbe causare fino a 6 milioni di morti in più di tubercolosi entro il 2025. Ancora, 6 mesi di interruzione dei trasporti di antiretrovirali per Hiv in paesi come il Sudafrica potrebbero provocare circa mezzo milione di morti aggiuntive per Aids, il raddoppio in un anno delle trasmissioni del virus da madre a figlio nell’Africa sub-sahariana e un aumento della mortalità del 40 per cento nei prossimi 5 anni. Tutto ciò senza tenere in conto che, per esempio per la tubercolosi, il razionamento degli scarsi farmaci disponibili a causa della crisi del Covid-19 costituisce il modo ideale per vedere insorgere resistenze, dovute a ipotrattamento. Sebbene, come sempre, i modelli vadano presi cum grano salis, non vi è dubbio che il Covid-19 stia già avendo un impatto preoccupante su entrambe le malattie.

   

Tuttavia, come lo stesso lavoro su Lancet sottolinea, la riorganizzazione del Sistema sanitario ai fini della sorveglianza e del trattamento di una pandemia può costituire anche l’opportunità per migliorare, anziché peggiorare, il trattamento delle altre malattie infettive. 

   

Per esempio, le reti di comunità di pazienti e medici sviluppate per lo screening di Covid-19 in Africa possono essere utilizzate anche per Hiv e tubercolosi; ciò potrebbe avvenire espandendo lo screening per la tubercolosi e l’autodiagnosi di Hiv, identificando individui che necessitano di sostegno economico diretto per supportare questo tipo di attività, in modo da recuperare tramite Covid-19 pazienti che erano stati persi da un punto di vista diagnostico per le altre patologie. La riduzione dello stigma sociale, associata al test per Covid-19, può aiutare in questo senso anche per Hiv e la tubercolosi. Perché le interessanti opportunità indicate nell’articolo di Lancet si realizzino, tuttavia, è necessario capire una volta per tutte che la convivenza con il Covid-19 sarà lunga, e che quindi le interruzioni eccezionali di trasporti e forniture mediche non possono durare ancora a lungo.

   

Un monito, questo, lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità e che dovrebbe essere accolto da tutti, prima che altre epidemie, ben più mortifere del Covid-19, riprendano vigore dopo un decennio di politiche di contenimento e riduzione.

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