(foto LaPresse)

La guerra dei vaccini

Enrico Bucci

Putin annuncia la soluzione finale contro il Covid, ma senza dati scientifici. Un po’ come ha fatto Trump

Sputnik. Questo è il nome che si è scelto di dare al misterioso vaccino russo. In una pura mossa di propaganda geopolitica, Putin ha annunciato l’autorizzazione condizionale al vaccino. Se ne sa pochissimo, tranne una cosa: sembra di essere tornati ai tempi in cui la competizione scientifica tra Stati Uniti e Unione sovietica era parte della Guerra Fredda.

 

In quel clima si sviluppò per esempio negli anni Cinquanta la gara tra le due superpotenze per il miglior vaccino antipolio. In America iniziò la sperimentazione del vaccino di Salk, che attraverso l’iniezione di tre diversi ceppi virali inattivati conferiva immunità anticorpale. Questo chiuse inizialmente la porta alla sperimentazione del vaccino di Sabin: un vaccino la cui differenza principale era la somministrazione per via orale, a imitare meglio il meccanismo di infezione del virus della polio, il quale ha soprattutto il vantaggio di conferire anche l’immunità cellulare, di cui si è parlato in queste pagine, oltre che quella anticorpale e di conferire una protezione di più lunga durata. Albert Bruce Sabin, in realtà, era nato con un nome diverso, proprio nel 1906 in quella che allora era una città russa (oggi polacca), detta Bialystok; si chiamava Abram Saperstein

 

Cambiò il suo nome nel 1930, alla naturalizzazione come cittadino americano, dopo essere emigrato nel 1921. Il suo vaccino non trovò sostenitori sufficienti negli Stati Uniti, soprattutto perché, quando fu pronto, ormai quello di Salk era già stato provato su milioni di bambini. Per questo, su invito dell’importante virologo sovietico Mikhail Chumakov, a metà degli anni 50, Sabin si recò in Russia e iniziò a collaborare con i sovietici.

 

Chumakov inizialmente testò un vaccino a base di virus fornito da Sabin. Lo studio dimostrò che il vaccino era facile da somministrare e sicuro. Sabin fu invitato di nuovo a Mosca nella primavera del 1959 e osservò che il lavoro veniva condotto “su una scala che sarebbe stata impossibile negli Stati Uniti. Chumakov all’inizio non ottenne il permesso per un ampio studio clinico. Il ministero della Salute si oppose al processo adducendo il motivo che esisteva già il vaccino Salk e non c’era bisogno di farne un altro. Come raccontato dal figlio, Chumakov sbloccò la situazione con una sola chiamata, utilizzando uno dei telefoni rossi forniti alle persone più potenti del Cremlino. Nel 1959 il vaccino fu testato su dieci milioni di bambini, somministrato con un contagocce o all’interno in caramelle. Fu un grande successo.

 

Da quel momento, importanti politici sovietici cominciarono a farsi fotografare sia con Chumakov sia con Sabin, e sempre più la propaganda americana e quella sovietica cominciarono a polarizzare l’opinione pubblica contrapponendo Salk a Sabin. Alla fine, come sappiamo, vinse Sabin, sia per la migliore efficacia sia per la maggior sicurezza del suo vaccino. Tuttavia occorsero anni di sperimentazione per stabilire sicurezza ed efficacia di entrambi i vaccini in competizione. Oggi abbiamo invece un presidente russo che annuncia l’efficacia e la sicurezza del suo vaccino Sputnik senza che sia possibile verificare alcun dato; e la stessa, identica cosa è già successa negli Stati Uniti, dove i risultati della vaccinazione sperimentale con il prodotto di Moderna sono stati presentati prima che fossero disponibili dati per verificare gli annunci, e dove un presidente spera di arrivare alle prime dosi in tempo per le elezioni.

 

La guerra fra nazioni in tempo di Covid-19 si fa anche a colpi di annunci sul nuovo rimedio definitivo. Eppure, se vogliamo uscire dalla crisi, è necessario che propaganda e geopolitica non prendano il sopravvento sul metodo scientifico e sui protocolli sperimentali.