(foto LaPresse)

Cattivi scienziati

Il Covid di ritorno

Enrico Bucci

Il caso dei due contagiati, i precedenti di altri virus respiratori senza sintomi. Motivi per evitare eccessivi allarmismi

Molta impressione ha fatto in questi giorni la conferma del primo caso di reinfezione dopo guarigione da SARS-CoV-2, conferma ottenuta da un gruppo di ricercatori di Hong Kong che hanno trovato a diversi mesi di distanza dalla prima infezione un diverso ceppo del virus che ha infettato lo stesso paziente. A stretto giro, è arrivata notizia di un caso simile in Belgio, in cui ancora una volta un paziente è stato trovato nuovamente infetto da un ceppo di SARS-CoV-2 diverso da quello cui era risultato positivo mesi prima. Per evitare eccessivo allarmismo, credo sia quindi necessario rimettere queste notizie nella giusta prospettivaInnanzitutto, in entrambi i casi pare che la reinfezione sia avvenuta in soggetti che avevano presumibilmente manifestato inizialmente una forma molto lieve o asintomatica della malattia – e forse per questo non avevano sviluppato una forte risposta anticorpale. La cosa più importante, però, è che la reinfezione in entrambi i casi non ha provocato conseguenze cliniche.

 

La preoccupazione maggiore che mi sembra di cogliere fra le persone, sia specialisti che no, tuttavia, riguarda il fatto che, a questo punto, anche un vaccino potrebbe rivelarsi una protezione solo temporanea, e potrebbe accadere che chi si reinfetta, pur se asintomatico, trasmetta comunque ad altri il virus. Si tratta di una possibilità reale, anche se non sappiamo con quale frequenza ci possiamo attendere casi del genere, perché ancora troppo poco tempo è passato dalla prima ondata di infezioni nel mondo; tuttavia, io vorrei fare un paragone con quello che accade con altri virus respiratori, che circolano da molto tempo a livello pandemico (o endemico, qui non mi interessa molto la distinzione). 

 

Ebbene, forse non tutti sanno che, per la maggioranza della popolazione, si osserva l’infezione da parte di virus respiratori senza che questo provochi sintomi. Per la precisione, in un lavoro del 2019 si è esaminata nell’arco di due anni la prevalenza di virus respiratori nei tamponi di 214 abitanti di New York, controllando per influenzavirus, virus respiratorio sinciziale, parainfluenzavirus, metapneumovirus, rinovirus, adenovirus e coronavirus umani più comuni. Ebbene, a seconda del virus, dal 30 al 70 per cento (per la maggior parte dei virus) dei soggetti positivi è risultato asintomatico, e se si considerano insieme tutti i virus, solo il 30 per cento degli episodi di infezione ha portato a sintomi rilevabili dal soggetto infetto. Il tutto indipendentemente dalla definizione di “asintomatico” utilizzata.

 

Non si tratta dell’unico lavoro che ha trovato questo tipo di risultati: un lavoro precedente, condotto sempre a New York su 2.685 soggetti che avevano visitato alcune attrazioni turistiche, aveva trovato che tra il 65 e il 97 per cento delle infezioni da virus respiratorio producevano esito asintomatico, secondo il criterio di definizione utilizzato. Ancora risultati simili erano stati ottenuti su campioni più piccoli di popolazione, controllando il lavaggio broncoalveolare –così confermando qualitativamente lo stesso risultato anche a livello polmonare, non solo di vie respiratorie superiori. 

 

Alla luce di questi risultati, possiamo dire che l’apparato respiratorio di tutti noi costituisce un ecosistema ricco di virus potenzialmente pericolosi, tenuti sotto controllo dal nostro sistema immunitario che ha imparato a riconoscerli senza che nemmeno ce ne accorgiamo – al contrario del nuovo e pericoloso SARS-CoV-2 o della MERS.  

 

Se la reinfezione dovesse confermarsi anche per SARS-CoV-2 sostanzialmente asintomatica, tutto sta nell’insegnare al sistema immunitario a riconoscere il virus, senza doversi infettare naturalmente e correre i rischi conseguenti alla prima infezione. Per questo un vaccino, ove mai dovesse essere insufficiente a proteggere da reinfezioni e nel caso queste non fossero solo sporadiche, servirebbe comunque a trasformare il virus in un nuovo ospite da aggiungere alla lista di virus quasi del tutto innocui; e questo, anche senza eradicarlo, ci permetterebbe di convivere senza danno con il parassita.