Girodias, l'editore che capì la forza di “Lolita” senza immaginarne il successo

Giampiero Mughini

Il rapporto con Nabokov e la storia di un romanzo

Tra le tante e notevoli storie di come vennero alla luce in prima edizione i capolavori della letteratura novecentesca, quella relativa al Lolita di Vladimir Nabokov – pubblicato a Parigi in lingua inglese nel 1955 – è una delle più succulente. Già l’autore era un personaggio di quelli che non si incontrano tutti i giorni. Nato a San Pietroburgo nel 1899 in una famiglia dov’era corrente l’uso dell’inglese e del francese oltre che del russo, figlio di un ex ministro, fuggito di gran lena dal paradiso sovietico nel 1919, laureatosi in slavo e lingue romanze nel 1922 al Trinity College dell’Università di Cambridge, i suoi primi dieci romanzi li aveva scritti in russo senza che ne venisse particolarmente notato né celebrato. Da quando, nel 1940, Nabokov s’era trasferito in America, aveva preso a scrivere in inglese oltre che insegnare letteratura russa alla Cornell University di New York.

  

Ed è nei primi anni Quaranta che comincia a covare la vicenda dell’impazzimento sentimentale e sessuale di un professore trentasettenne, Humbert Humbert, per una ragazzina appena dodicenne. Badate bene, è un’epoca differentissima dalla nostra di figli degli anni Settanta e Ottanta quando era divenuto del tutto naturale che uomini adulti abbrancassero ragazze attorno ai vent’anni. Ho nella mia collezione una splendida foto di Pino Settanni scattata negli anni Novanta a una tredicenne – e futura diva cinematografica – che non aveva nulla da imparare in fatto di esibizione spudorata della sua femminilità. Era già donna, e basta. Diversa, diversissima l’aura dei primi anni Cinquanta quando la relazione tra Humbert Humbert e la dodicenne appariva a dir poco sacrilega. E tanto più che Nabokov, interrogato da un giornalista nel 1966, ci teneva così tanto a precisare che gliene importava meno che nulla della moralità pubblica, del fatto che a un uomo adulto piacesse a tal punto una poco più che “bambina”. Questa passione era un fatto, lui voleva raccontarla.

  

Certo è che i tanti editori cui a metà degli anni Cinquanta era stato proposto il dattiloscritto di Lolita, avevano risposto che non se ne parlava nemmeno che loro pubblicassero una tale sconcezza, ossia uno dei dieci romanzi più belli del Novecento. Questo finché un’agente letteraria russa che si chiamava Doussia Ergaz non contattò un singolare editore parigino di nome Maurice Girodias, il titolare delle edizioni The Olympia Press fondate da suo padre, l’ebreo Jack Kahane. Prima di morire nel 1939, Kahane padre aveva azzeccato titoli quali Tropic of Cancer di Henry Miller, ma non solo quello. Il figlio aveva trasmutato il suo cognome in Girodias (il cognome della madre cattolica) per non dare nell’occhio nella Parigi dominata dai nazi. Nato nel 1919, il figlio prese le redini della Olympia Press appena ventenne. Intelligente, astuto, spavaldo, collocò la sua casa editrice a metà strada tra l’avanguardia letteraria e la pornografia, nel senso che con il ricavato dei libri porno tipo Il bidet di Debby o Tenere cosce (da vendere agli arrapati turisti americani a Parigi) si permetteva di pubblicare raffinati libri per pochi a cominciare da quelli di Samuel Beckett e William S. Burroughs e della prima edizione inglese del magnifico Histoire d’O di Pauline Réage, prime edizioni che oggi nel mercato antiquario pagheresti un occhio della testa. Appena legge il dattiloscritto di Lolita, all’inizio dell’estate del 1955, Girodias non ha un attimo di esitazione: “Con mia meraviglia fui colpito, ed emotivamente conquistato, da un fenomeno inusuale: la trasposizione, all’apparenza senza sforzo, della ricca tradizione letteraria russa nel romanzo inglese moderno. Già di per sé era un esercizio geniale, ma la storia era la magica dimostrazione di qualcosa che avevo spesso sognato e in cui non mi ero mai imbattuto: il racconto di una delle passioni umane più proibite in un modo del tutto sincero e legittimo”.

  

Girodias non ha un attimo di esitazione quanto al pubblicare il libro, non che pensi minimamente che diventerà un bestseller. Né vuole che lo diventi Nabokov, il quale gli scrive che si sentirebbe mortificato se il libro avesse un succès de scandale, perché per lui il libro aveva tutt’altro significato e valenza. A tutta prima aveva anzi pensato di non pubblicarlo con il suo vero nome, e cioè che un tale libro potesse nuocere al suo incarico alla Cornell University. Tutto questo Girodias lo scrive in un lungo articolo pubblicato su una rivista americana nel settembre 1965, “Lolita, Nabokov and I”, che adesso viene pubblicato in italiano dalla piccola quanto smagliante casa editrice milanese Henry Beyle (un omaggio a Stendhal) col titolo “Lolita, Nabokov e io”. Come tutte le gemme della Henry Beyle è un volumetto breve e scattante, quattrocento copie stampate in carattere Baskertville corpo undici su carta di gran qualità. Un libro da annusare e accarezzare con la mano prima di leggerlo.

  

La prima edizione Olympia Press di Lolita, datata settembre 1955, consta di due tomi tirati in mille copie rispettivamente di pagine 223 e 188 in un formato piccolo e con una copertina quanto di più scabra. Venti e passa anni fa, il giorno in cui finalmente li trovai e li comprai nello stand milanese del libraio antiquario Andrea Galli ero felice come una pasqua. Appena uscito, del libro non si accorse nessuno e se ne vendettero pochissime copie. Finché alla fine dell’anno successivo, Graham Greene non rilasciò una memorabile intervista in cui definiva Lolita uno dei tre più bei libri dell’anno. Al che il direttore di un quotidiano popolare ad ampia diffusione accusò Greene di star promuovendo la più indecente pornografia. Ne venne un putiferio massmediatico, ed è così che i libri si vendono. Nel frattempo, ed è questo il sugo del librino di Girodias pubblicato dalla Henry Beyle, scoppiò l’inferno tra autore ed editore. Ciascuno dei due dà la sua opposta versione dei fattacci intercorsi tra loro, Nabokov lo fa in due suoi interventi pubblicati nel volume Intransigenze edito in Italia da Adelphi nel 1994. L’unica volta che si incontrarono in carne e ossa, scrive Girodias, Nabokov fece finta di non conoscerlo; Nabokov dice che quell’unica volta non ebbe la più pallida idea che l’individuo che si trovò di fronte fosse l’editore di Lolita. Girodias si mostra stranito che Nabokov non gli fosse grato di avere accettato il suo libro, laddove nessun altro editore lo voleva. Nabokov lo accusa di aver ritardato allo stremo i pagamenti e di non avere fatto assolutamente nulla per promuovere il libro. E siccome la formula con cui Lolita era stato pubblicato in prima edizione era che i diritti appartenevano in contemporanea a Nabokov e alla Olympia Press, ogni volta che il libro doveva essere tradotto in un’altra lingua (in Italia la Mondadori lo tradusse nel 1959) tra autore ed editore era una guerra mondiale su come spartirsi il bottino. Nel frattempo il libro di cui Girodias reputava che avrebbe avuto uno scarso esito commerciale ha venduto oltre 50 milioni di copie nel mondo. Fate un po’ voi i conti.