Gianni Rodari in viaggio in Urss nel 1979 (foto LaPresse)

Il genio di Gianni Rodari, che scrisse libri per ragazzi dai 19 ai 90 anni

Giampiero Mughini

Il più soave degli italocomunisti fin troppo dimenticato

Nei giorni attorno al 25 aprile 1945 non era esente da pericoli percorrere le strade di Milano, pattugliate com’erano da partigiani che non vedevano di buon occhio chi avesse addosso le stimmate del fascismo. Di una di quelle pattuglie faceva parte il partigiano venticinquenne Gianni Rodari. Il quale a un certo punto si vide venire incontro un uomo dal portamento “ambiguo, tutto grigio, con un cane e un sorriso disperato”. Gli chiese la carta d’identità, su cui era il nome di Mario Sironi. Il fascistissimo di tutti i pittori italiani del Novecento? Sì, proprio lui. Rodari sapeva bene chi fosse Sironi e che cosa avesse fatto durante il Ventennio. Appunto perché lo sapeva, perché sapeva quale pittore eccezionale fosse stato Sironi nonostante e malgrado la sua apologia del fascismo, lo lasciò passare, senza dirne nulla al suo capo pattuglia. Tutta la vita Rodari sarebbe stato un comunista così, garbato, attento alle sfumature delle persone e delle idee, una nota di ironia che mai smetteva dalle sue labbra. Il più soave degli italocomunisti.

 

Eravamo stati colleghi per alcuni anni a Paese Sera a metà dei Settanta, lui un personaggio e una firma a sé del giornale, io un pivello alle prime mosse professionali. Lui uno che non se la tirava nemmeno un po’, io rapito dalla sua eleganza umana. L’episodio che tocca Sironi credo di averlo sentito per la prima volta dalla sua viva voce, quando andai a intervistarlo nella sua casa romana di Monteverde, una casa di borghesia discreta, garbata, niente a che vedere con l’agio e la ricchezza. Non molto tempo dopo quell’incontro, il 14 aprile 1980, lessi sui giornali che Rodari era morto di un collasso cardiaco, e aveva appena sessant’anni. Sulla stampa non comunista non un solo articolo ricordò questo grande scrittore italiano del secondo Novecento. E’ singolare che un autore talmente noto e riconosciuto dal pubblico di tutto il mondo sia pressoché assente dai manuali di letteratura italiana contemporanea, quando non confinato nel ghetto della “letteratura per ragazzi”. Lo scrive Vanessa Roghi nel suo Storia di Gianni Rodari (pubblicato da Laterza in occasione del centesimo anniversario della nascita dello scrittore di Omegna), un libro che deve esserle costato molti e molti anni di lavoro da quanto la documentazione sul Rodari giornalista e sul Rodari scrittore vi è ricca e puntualissima.

 

Rodari era venuto all’italocomunismo negli anni dell’immediato Dopoguerra in cui i giornali e i giornaletti del Pci attrassero il meglio della sua generazione, ivi compresi alcuni che avevano debuttato nelle file del fascismo. A rintracciarne i nomi e i personaggi, lo tasti con mano quanto quella genìa fosse varia e vitale quale in nessun altro partito comunista al mondo: lo sta dicendo un anticomunista di ferro. Dal poeta ed ex prigioniero di guerra in Urss Fidia Gambetti ad Aldo Tortorella che entrò all’Unità diciannovenne, da Felice Chilanti al poco più che ventenne Saverio Tutino, dall’ex volontario “fascista” nella guerra di Spagna Davide Lajolo a Renato Mieli (il padre di “Paolino”, futuro autore di un libro micidiale contro il Togliatti “staliniano” del 1937), da Giuseppe Boffa che sarebbe stato il primo corrispondente dell’Unità dall’Urss all’Italo Calvino di cui era appena uscito da Einaudi il bellissimo romanzo di debutto (Il sentiero dei nidi di ragno), dal poeta Alfonso Gatto a Mario Alicata, un comunista imperioso che di garbo ne aveva infinitamente meno di Rodari e che ad andargli contro ti sbucciavi le ginocchia.

 

Solo che lo scrivere su giornali e giornaletti di partito, e pubblicare qualche librino di letteratura per ragazzi con il marchio di una casa editrice di partito, rischiava di diventare una gabbia per il Rodari trentenne degli anni Cinquanta. La svolta avviene nel ’58 quando Amerigo Terenzi, l’avvedutissimo editore di Paese Sera – il quotidiano romano fiancheggiatore del Pci –, suggerisce al direttore Fausto Coen di assumere quel Gianni Rodari che nella redazione dell’Unità ci sta un po’ stretto. Coen assente entusiasta. La redazione di Paese Sera era al piano superiore dello stesso palazzo di via dei Taurini dove al piano inferiore stava la redazione dell’Unità. A Paese Sera ben presto attribuiscono a Rodari l’onore di scrivere il corsivo di prima pagina firmato Benelux che è uno stemma del giornale fin dalla sua nascita, un corsivo giornalisticamente cugino di quello che per anni Fortebraccio – alias l’ex democristiano Mario Melloni –scriverà sulla prima pagina dell’Unità, epperò scevro dei furibondi colpi alle caviglie e al cuore degli avversari politici del Pci di cui era prodigo Fortebraccio. L’orgoglio forsennato di stare da una parte e dare addosso alle parti avverse è perfettamente assente dal Benelux rodariano. Vanessa Roghi cita il Benelux relativo all’astronauta americano John Glenn, che per primo nel 1962 fece un volo orbitale attorno alla Terra. Prima di montare sulla navicella spaziale aveva scelto di mangiare una pizza, un cibo prettamente italiano: Rodari gli si rivolge come fosse un amico, “un fratello”.

 

Vi sto parlando da un bel po’ di Rodari e ho finora eluso l’essenziale, e cioè che per lui fosse la cosa la più naturale al mondo scrivere favole e filastrocche e poesiuole per i ragazzi. Era profondo in lui l’istinto pedagogico, da maestro, un mestiere che aveva fatto. Aiutare i ragazzi a fantasticare, ché non c’è nulla più reale delle fantasticherie. A rendere lucenti quelle fantasticherie Rodari aveva scritto alcuni librini negli anni Cinquanta, e dico librini perché smilzi di pagine e di formato. Finché nel 1958 non arriva l’incontro con l’editore Giulio Einaudi e con l’illustratore/grafico/artista Bruno Munari e ne scaturiranno libri fra i più belli dell’intera editoria italiana del Novecento. Da una lettera all’editore Einaudi pubblicata dalla Roghi risulta che Rodari inizialmente non conoscesse bene Munari e che avesse scritto a questo “pittore” perché qualcuno glielo aveva suggerito. Munari, che a quel tempo faceva un andirivieni continuo in pullman tra Milano e Torino a curare il volto grafico dei libri Einaudi, non risponde subito. Quando lo fa e avvia la combutta con lo scrittore quarantenne, ne nascerà il primo e meraviglioso libro Rodari/Munari, Filastrocche in cielo e in terra del 1960. Non è che Munari accompagni con fregi e lampi grafici i testi che Rodari aveva covato riga per riga, ossia le piroette del “punto e virgola”, l’accento che “per distrazione” cade sul lago di Como trasformandolo in comò, il che farne della luna bambina “che in un ‘amen’ vola dal Polo Nord alla Cina”. Munari fa molto di più, il suo è una sorta di accompagnamento musicale pagina dopo pagina, a inizio, a lato o al fondo del testo. Il primo di sei libri uno più bello dell’altro, uno più rodariano e assieme più munariano dell’altro. Libri “per ragazzi”? Sì, per “ragazzi” dai 12 ai 90 anni, e voglio ben vedere di qualche diavoleria elettronica che stia al paro con la poesia e l’eleganza di questi libri fatti di carta e di genio.