Giovanni Mondini, 52 anni, presidente della Confindustria genovese (foto LaPresse)

Dopo Torino, Genova

Renzo Rosati

Giovanni Mondini, presidente di Confindustria Genova, ci dice perché la rivolta del nord contro il governo passa dalla piazza ligure

Roma. “Alla manifestazione pro Tav di Torino avrei voluto esserci. La farà anche Genova, sul Terzo Valico ferroviario e la Gronda autostradale, come chiedono tutte le forze sociali, imprenditori e sindacati. Come a Torino, sarà la società civile a muoversi”. Giovanni Mondini, 52 anni, presidente della Confindustria genovese, considera un atto dovuto l’approvazione, ieri al Senato, del decreto per la ricostruzione del ponte Morandi: “Pur con tutte le perplessità che abbiamo espresso direttamente al governo, per le poche risorse, i tempi, lo scontro con Autostrade e le altre contraddizioni. Ma c’era il rischio che il decreto scadesse, quindi va bene per ora, anche se il diavolo si nasconde nei regolamenti attuativi e nella burocrazia. Ma questo è appunto il minimo. Ora prepariamoci anche noi a scendere in piazza in difesa delle infrastrutture e in generale delle grandi opere del nord-ovest, necessarie per non condannarci all’isolamento, a cominciare da quello dall’Europa, e alla decrescita felice che piace ai 5 stelle”.

 

 

Al Foglio, il numero uno degli industriali genovesi, che qui è nato ed è vicepresidente e azionista della Erg, storico gruppo energetico cittadino, aggiunge intanto che a Genova si incontreranno il 28 novembre i vertici economici e politici di Liguria, Piemonte e Lombardia: “Si tratta di unire le forze per il rilancio di quello che era il triangolo industriale, che per decenni è stato forza trainante dell’Italia, e di recapitare questo messaggio al governo. Ci saranno i tre governatori, le tre confindustrie, sindaci, forze imprenditoriali”, dice Mondini. “Il deficit infrastrutturale è già evidente, e qualcuno vorrebbe allargarlo. Ma intanto è necessario andare in piazza, la popolazione è pronta”.

 

A Roma e Torino, però, sono state le donne fuori dai partiti a organizzare tutto. A Genova che cosa si muove, istituzioni a parte? “Per esempio qui contano ancora i cappellani del lavoro, una realtà che esiste nelle fabbriche dal 1943, che ha una propria fondazione e che fa da cerniera tra arcidiocesi, stabilimenti e società civile. Il loro simbolo è don Massimiliano Moretti, attivissimo su giornali, tv, social. Al Secolo XIX ha appena detto: ‘Terzo Valico, subito!’. Non credo proprio lo si possa accusare di essere un parruccone borghese, come ha scritto Beppe Grillo dei torinesi di piazza Castello, o uno che porta a spasso barboncini e borse griffate, come ha detto Virginia Raggi per la manifestazione sotto il Campidoglio”.

 

Mondini sa che, se anche Genova scenderà in piazza (e con il vertice del 28), si concretizzerà la vera novità politica del momento, cioè la ribellione del nord industrioso contro il populismo, che vede sì al governo i 5s ma anche il capo della Lega Matteo Salvini. Dunque? “Le contraddizioni generano problemi e tutto è nel campo del governo. In Liguria abbiamo come governatore un eterodosso, a dir poco, di Forza Italia, e a Genova come sindaco un imprenditore leghista, Marco Bucci, che fa del pragmatismo la sua cifra. Il tutto in una regione che è stata rossa per decenni. Negli altri tre capoluoghi ci sono tutti sindaci espressioni di liste civiche e del centrodestra moderato. In altri termini, da noi grillismo e populismo non toccano palla. Poi abbiamo una evidente comunione di interessi con il Piemonte, che ha un governatore del Pd, e con la Lombardia, governata dalla Lega con presenze importanti del Pd nei capoluoghi. La Confindustria lombarda è più che critica con l’assistenzialismo dirigista del governo, così come lo sono io che ripeto che il decreto dignità fa perdere migliaia di posti di lavoro. Gli imprenditori torinesi sono su questa linea, come si è visto”.

 

Manca il Veneto. “C’è un grande malcontento anche lì, per ora tra le categorie produttive, magari lo vedremo anche a livello politico. Del resto Verona è lo sbocco terrestre della Germania verso il Mediterraneo, così come Genova di tutto il nord Europa. Sono le infrastrutture, materiali e immateriali come il digitale, che fanno correre il progresso e il lavoro”. Revisione di costi-benefici per Tav, Terzo Valico, pedemontane lombarda e veneta sono opera dei 5 stelle, così come la filosofia della decrescita e il localismo. Sarà il nord a staccare Matteo Salvini da Luigi Di Maio? “La responsabilità di governo è condivisa, hanno anche sottoscritto il contratto: per come la vedo io non esiste una parte buona e una cattiva del governo. Potrebbe dunque anche accadere di più. Nel nord hanno lasciato le penne in molti, e Genova quando si arrabbia fa cadere i governi, come quello di Tambroni nel 1960, o blocchi di potere come la sinistra di questi anni”.

 

L’antieuropeismo fa parte delle responsabilità condivise da Salvini e Di Maio che danneggiano l’Italia produttiva? “Certamente. Il richiamo alla sovranità autarchica per un paese esportatore, manifatturiero e indebitato è semplicemente assurdo. Così come è ridicolo rallegrarsi se la Germania segna un pil trimestrale negativo. Esportiamo per 550 miliardi, 450 dei quali con la manifattura, e per la metà le nostre merci vanno in Europa. Se l’industria tedesca soffre, le conseguenze le paghiamo anche noi, a Genova come in Veneto e nell’indotto piemontese. E’ così difficile capirlo?”.