Il governatore della regione Liguria Giovanni Toti (Foto LaPresse)

Giovanni Toti ci spiega perché “Forza Italia va smontata”

David Allegranti

Il governatore: “Decisioni sbagliate, c’è un problema di selezione della classe dirigente. Berlusconi candidato? Valuti bene”

Roma. Piazza Dama, palazzo di rappresentanza della Regione Liguria a Roma. Giovanni Toti esce dal suo ufficio, ha in mano il suo iPhone che squilla in continuazione. WhatsApp, telefonate. Dentro il suo partito c’è fermento. Toti ha le idee molto chiare sul centrodestra (“Forza Italia va smontata”) ma ci arriviamo dopo. Prima c’è da parlare del ponte di Genova. Il governatore si siede su una sedia da ufficio, appoggia il cellulare su un grosso tavolo da riunioni. La Ragioneria generale dello Stato ha appena dato l’ok al decreto sul ponte. Tutto va a rilento e la gente perde giustamente la pazienza. “Siamo contenti per come noi, istituzioni locali, abbiamo gestito la situazione. In un mese abbiamo costruito una nuova strada sul porto. Entro il 4 di ottobre rimetteremo in funzione le ferrovie che servono il porto stesso e i passeggeri che vanno verso le valli dell’entroterra. Abbiamo dato una casa a 260 famiglie sfollate nel giro di un mese, attingendo al patrimonio del Comune e della Regione. Le stiamo ristrutturando tutte, è un buon modo per utilizzare i fondi della Protezione civile che ci hanno dato”.

 

E il governo? “Non si può dire che sia stato assente, anzi. Sono stati presenti, così come è stato efficace e presente il dipartimento di Protezione civile. Però sulle vicende successive il governo e i partiti politici che lo rappresentano, per ragioni complicate ma certamente di immagine elettorale, hanno intrapreso una strada, quella della guerra a Società Autostrade - che pure ha tutte le sue responsabilità - che rischia solo di complicare molto la vicenda. In questi momenti bisogna essere seri. Le responsabilità devono essere accertate da un tribunale della Repubblica, non dal tribunale del popolo o da un governo di giustizieri. Quando nel Golfo del Messico Deepwater Horizon è andato a fuoco e ha inquinato tutto, quando in Italia è naufragata la Haven una trentina d’anni fa davanti al porto di Genova o quando la Iplom, raffineria di Genova, ha sversato nel fiume Polcevera per un suo guasto, come prima cosa si è chiamato il responsabile e gli si è detto di rimediare al casino fatto”.

 

Insomma dice Toti, “se c’è un profilo di responsabilità penale lo accerteranno i magistrati, se c’è un sistema legislativo che ha concesso di sguazzare in una situazione opaca il parlamento lo cambierà. Additare il nemico del popolo è una via molto populista. Poi, per carità, magari nemico del popolo lo è davvero, ma non è il governo a doverlo stabilire. E comunque prima deve rimediare ai danni che ha fatto”. Genova, osserva Toti, “è una città normalmente molto silenziosa, è la Londra del mediterraneo, però le volte che ha fatto sentire la sua voce sono caduti i governi. Dal governo Tambroni in poi. E’ l’unica città che si è liberata da sola il 25 aprile, è l’unica città che si è liberata dagli austriaci prima della Rivoluzione Francese, nel 1775, è l’unica città in cui in alcuni momenti la politica, le parti sociali, la curia, destra e sinistra, si sono compattate in sua difesa. Penso alla Liberazione, allo scontro su Tambroni ma anche a Guido Rossa e ai suoi funerali in piazza De Ferrari”. E oggi su Genova c’è un malumore di fondo, “perché ai cittadini di ogni grado, titolo e colore, dalla prima impresa all’ultimo operaio del porto, gli sembra che sulla pelle di Genova e di quel ponte si combattano battaglie che con Genova non c’entrano assolutamente niente e che, anzi, con ogni probabilità sono controproducenti”.

 

Cambiamo argomento. Toti non è solo il presidente della Regione Liguria, è anche un leader di partito. Negli ultimi mesi ha cercato di unire il centrodestra in un partito solo, stile Conservatori o Repubblicani. Non è andata bene e adesso e prende atto. “Bisogna costruire un ponte anche nel centrodestra…”, dice Toti. “La Lega oggi ha qualche remora nel costruire un contenitore più vasto, ed è comprensibile: ha mercato, una classe dirigente che funziona, l’esigenza di fusione tatticamente diventa molto meno impellente, anche se io penso che sia un errore. Vedo in giro troppa tattica e pochissima strategia da parte di tutti, compreso l’amico Matteo (Salvini, ndr). Prendiamone atto e cominciamo intanto noi a ristrutturare quel che c’è nel centrodestra fuori dall’area leghista, con Forza Italia, Fratelli d’Italia, il mondo cattolico e anche il mondo delle liste civiche. Ormai gran parte dell’elettorato di centrodestra soprattutto alle elezioni amministrative si riversa nelle liste dei governatori e dei sindaci”. Il sogno del partito unico Toti lo coltiva sempre ma in un primo momento il centrodestra dovrebbe essere composto da due anime. Da una parte un partito conservatore, dall’altro la destra sovranista.

 

E Forza Italia che fine farebbe? Sembra un partito nel caos. Il testacoda su Marcello Foa è significativo, osserva Toti, “siamo passati dallo sparo di Sarajevo alla prima guerra mondiale, al congresso di Parigi senza passare dalla battaglia di Somme, di Ypres, dal Piave e dalla vittoria di Vittorio Veneto. Foa è stato il colpo di pistola che aveva fatto esplodere il centrodestra, poi di colpo - senza che cambiasse assolutamente lo scenario - è stato acclamato da tutti come presidente della Rai. Probabilmente era esagerato lo sparo allora ed è stata esagerata la foga di un accordo adesso. L’assenza di moderazione nello scenario politico generale e anche di moderazione di giudizio è particolarmente inquietante”.

 

Toti è deluso da Forza Italia, “e mi dispiace perché è il mio partito di riferimento ancorché io partecipi molto poco alla vita di partito. Anche perché la vita di partito andrebbe trovata, è piuttosto clandestina. Non so chi decida, non so dove si decida, non so con quale meccanismo. Ma spesso le decisioni sono sbagliate e quando un prodotto esce male dalla catena di montaggio o è sbagliato il progetto o è sbagliato la catena di montaggio o è sbagliato chi ci lavora a quella catena di montaggio, oppure c’è un boicottatore. Siccome alla teoria del complotto e del boicottatore non ci ho mai creduto, penso che Forza Italia andrebbe smontata. Dovremmo decidere quale classe dirigente ha e se questa classe dirigente è davvero in grado di portare la responsabilità di rifondare l’area moderata della nostra coalizione. Dovremmo chiederci su quale base è stata scelta questa classe dirigente negli anni, su quale base la vogliamo scegliere per il futuro, chi parla a nome di quel partito e perché lo fa. Siamo una democrazia rappresentativa, uno straccio di delega bisognerà pur averla. Sei un sindaco? Ti hanno votato i cittadini; sei un governatore? Ti hanno votato i cittadini della tua Regione. Ti sei mai presentato come capo classe oppure ti hanno dato un collegio, te l’hanno cucito addosso e hanno detto ai cittadini, scegli il meno peggio? Perché le ultime elezioni sono andate così: scegliete il meno peggio”.

 

Dunque c’è un problema di classe dirigente in Forza Italia? “C’è un tema di collocazione politica e un tema di selezione della classe dirigente. Il problema non è se è inadeguata la classe dirigente di oggi, e certamente in parte lo è, ma come la si sceglie da oggi ai prossimi 30 anni. Se anche oggi per un decreto divino la scegliessimo per cooptazione nessuno ci garantisce che domani o dopodomani o tra un anno sarà ancora la migliore. E invece con un meccanismo meritocratico di selezione della classe dirigente, le cose sarebbero diverse. In questo paese l’ascensore sociale è la cosa più menzionata e la più trovata guasta dagli italiani. In Italia non c’è in nessuna organizzazione, men che meno in politica. Quindi la nostra classe dirigente occupa un posto e cerca di tenerlo”.

 

Adesso invece servirebbe un confronto, persino un scontro, fra persone che hanno idee e cercano voti. “Forza Italia ha un campionario raffinatissimo di persone molto simpatiche ma è tutto da dimostrare che occupino un posto da classe dirigente. Ed essere classe dirigente vuol dire assumersi responsabilità, leggere il momento storico, capire quando gli elettori ti chiedono un cambiamento. Vuol dire saper assumere anche la responsabilità di fare un passo indietro ma anche di fare un passo avanti e di proporsi, di non essere sempre una seconda fila”. E invece c’è sempre Berlusconi in campo. Ora anche alle Europee. “E’ legittimo che Berlusconi si voglia presentare alle Europee. E’ in credito con questo paese, è stato espulso dal Senato dopo una sentenza turpe, non gli è stato consentito di candidarsi alle ultime elezioni, quindi è comprensibile che abbia una volontà personale di rivalsa da lottatore qual è. Ma se fossi in lui valuterei bene, seguendo la strategia e non la tattica, qual è l’effetto della sua decisione, che cosa comporta e quale messaggio da questo ne discende, se aiuta se stesso o non lo aiuta. Il confronto diretto tra leader, con quello della Lega che è molto più forte, non credo che aiuterebbe il risorgimento dei moderati. Anzi rischia di procurargli una nuova delusione e una nuova discesa verso il basso. Bisogna strategicamente pensare dove vogliamo andare, cosa vogliamo costruire e muoversi di conseguenza. A Berlusconi gliel’ho detto molte volte.

 

Chi gli suggerisce di confrontarsi con leader come Di Maio e Salvini, leader di partiti che valgono almeno il doppio di Forza Italia, vuole male a Berlusconi. Non so chi sia lo spin doctor del momento, ma io lo licenzierei”. Quindi la proposta: “Trasformiamo il centrodestra in una repubblica come l’Italia, in cui c’è il presidente della Repubblica - che dovrebbe essere Berlusconi - che detta il campo da gioco, controlla che la Costituzione venga rispettata. All’interno di questa Repubblica c’è una classe dirigente che si gioca la partita che spetta ai primi ministri, dove ci si dà anche qualche gomitata e c’è l’arbitro che guarda dall’alto. In questo modo Berlusconi sublimerebbe la storia straordinaria della sua vita. Il Pdl è franato per varie ragioni, soprattutto perché era un luogo dove era difficile un confronto. Se c’è poca democrazia e poco confronto un sistema politico rischia di esplodere. Le scissioni dei grandi imperi o producono federazioni di uguali - e diventano come gli Stati Uniti d’America - oppure, come nell’impero austroungarico, prima se ne vanno gli ungheresi, poi i serbi, poi i croati e poi resta solo l’Austria che è piccola piccola. Così è successo al Pdl”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.