Luca Carabetta (foto Imagoeconomica)

Luca Carabetta, il No Tav atipico

Valerio Valentini

Chi è la faccia pulita del Movimento 5 stelle che presidia i talk-show

Roma. Un po’ per celia e forse un po’ per sfogare un’invidia inconfessabile, i suoi colleghi deputati del M5s hanno iniziato a far circolare nelle loro chat un’immagine bizzarra: un diagramma a torta che riporta i dati dell’Agcom sullo spazio concesso in tv alle varie forze politiche: cinque ore alla Lega, quattro al Pd, sedici a Luca Carabetta. E lui, dissimulando con un certo imbarazzo il piacere che questa goliardia cameratesca degli amici gli provoca, dice che in realtà quasi non ne può più, ostenta una spossatezza un po’ recitata, mostra un’agenda piena d’impegni: la mattina a “Omnibus”, dopo pranzo a Sky, “Radio Anch’io” nel pomeriggio e “Stasera Italia” prima di andare a letto. Per poi ricominciare. “Un privilegio, certo, ma anche uno stress”, sbuffa sedendosi su una panchina nel cortile di Montecitorio. Faticoso per lui, sì, e forse un po’ anche per la sua ragazza: la quale molto spesso, dice chi li frequenta, finisce a fare da sparring partner, offrendosi come immaginario interlocutore – di destra, perlopiù – per testare la prontezza nel rispondere del suo Luca. “Ma non è che sia voluto”, si schermisce lui quando gli si chiede conferma. “E’ solo che la politica è un po’ la nostra passione, e finiamo spesso per discutere”.

 

E però a guardarlo si direbbe che è stato più per la sua faccia pulita, per la freschezza rassicurante dei suoi ventisette anni, che non per la sua verve retorica, che lo staff della comunicazione lo ha scelto come la persona giusta per presidiare talk e dibattiti. “Si è scelto di puntare anche su volti nuovi”, dicono nel Movimento. E allora, oltre ai pezzi grossi, spazio ai neoeletti Lucia Azzolina, Raphael Raduzzi, Michele Sodano. E Carabetta: su tutti il più inflazionato, lui che in verità nuovo lo è solo in parte, nel Palazzo, visto che si è già sciroppato una legislatura da collaboratore parlamentare di Ivan Della Valle, deputato di Rivoli finito al centro della bufera sui rimborsi taroccati. “Luca e Carlotta: i miei due scudieri”, amava ripetere Della Valle. Carlotta, cioè Carlotta Trevisan, a giugno ha abbandonato il M5s (“Ho un nonno partigiano, non ce la faceva a stare in un partito alleato di Salvini”); Carabetta invece nel Movimento “farà strada”, dicono i suoi colleghi più esperti. “Bravo, sì, mediaticamente efficace, anche se gli abbiamo dovuto dire di essere un po’ meno secchione”. Questo è stato il suggerimento arrivato direttamente dall’équipe di esperti che ruota intorno a Silvia Virgulti, domina rediviva e forse mai davvero scomparsa nelle strategie comunicative del M5s. E Carabetta ha recepito, almeno a giudicare dalla foga con cui qualche giorno fa, negli studi di “Quarta Repubblica”, ha battagliato con Sergio Chiamparino, che poi lo ha incrociato anche in Transatlantico, l’indomani, rinnovando la sfida. Del resto si parlava di Tav: questione su cui Carabetta, nato e cresciuto a Buttigliera Alta, alle porte della Valsusa, da padre calabrese e madre piemontese, è particolarmente sensibile. “E’ qui che ha iniziato il suo apprendistato da attivista”, dice di lui chi se lo ricorda ancora, quindicenne, nei comitati ambientalisti contrari all’alta velocità. Poi è arrivato l’impegno nei MeetUp di Torino e dintorni, per i quali Carabetta curava soprattutto le pagine social, quando i social e la comunicazione online erano ancora roba da pionieri.

  

 

Grillino a suo modo atipico, però. Formatosi con la suggestione antagonista ma anche con la passione per la tecnologia. “E’ un nerd, uno che prima di entrare in Aula, il pomeriggio, controlla l’andamento dei futures americani, e non disdegna d’incontrare dirigenti di grandi banche”, raccontano i colleghi. E forse ricordandosi di quando, da ragazzino, giocava con le schede rotte trovate nei magazzini dell’azienda di elettronica del padre, nel 2015 fonda la sua prima startup nel campo dell’internet delle cose, cui segue poi una nuova iniziativa imprenditoriale nel settore della formazione al lavoro dei giovani. Ora è vicepresidente della commissione Attività produttive, e ha seguito il progetto forte del fondo di venture capital, su cui Luigi Di Maio continua a imbastire una roboante retorica, al netto dell’esiguità dei trenta milioni stanziati per il 2019 (“Ma la sfida è attrarre investitori privati”, ripete Carabetta). Il capo grillino lo stima molto, d’altronde, benché di tanto in tanto non manchi di rampognarlo bonariamente. E’ successo, ad esempio, alla vigilia di Italia 5 stelle. Era la mattina di venerdì 19 ottobre, e nei corridoi della Camera c’era un viavai di comitive di attivisti da mezz’Italia che seguivano ciascuno il suo parlamentare di riferimento per curiosare tra i segreti di Montecitorio. “C’è anche la barberia”, ha indicato ai suoi amici torinesi Carabetta, e l’ha fatto con l’aria di chi volesse additare un qualche residuo di privilegio antico, senz’altro da abolire. Solo che quando ha aperto la porta, dentro, a farsi sistemare i capelli, c’era Di Maio.

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