(foto LaPresse)

Moda rivede tutto al ribasso e converte la produzione. Mobile al 2021?

Fabiana Giacomotti

Il sistema nazionale del fashion, con i suoi 90 miliardi di euro di fatturato, chiude oggi fino a nuove disposizioni. Si decide sulle settimane di Milano e Parigi

Ci hanno provato fino all’ultimo, tentando di evadere tutti gli ordini pregressi e pur consapevoli che la mancanza di materie prime li avrebbe fermati anche prima dell’ultimo decreto del governo. Tranne le aziende che hanno convertito la produzione a mascherine e abbigliamento in Tnt per gli operatori sanitari impegnati nella lotta contro il coronavirus – vedi le imprese dei façonisti aderenti a Cna, oppure Ferragamo che donerà agli operatori della Regione Toscana 100 mila mascherine, 50 mila detergenti sanitari e 3 mila protezioni del modello Fpp1 che tutti abbiamo imparato a riconoscere – il sistema nazionale della moda con i suoi 90 miliardi di euro di fatturato chiude oggi fino a nuove disposizioni. Quello del design, se le informazioni che ci giungono in via riservata non sono errate, si prepara ad annullare fra oggi e domani l’edizione 2020 del Salone del Mobile, che era già stato spostato da aprile a giugno, creando il panico fra le decine di migliaia di operatori solitamente impegnati in quegli stessi giorni con Pitti Uomo e le sfilate milanesi. Nessuna sovrapposizione, anzi. Dagli uffici della kermesse fiorentina non giungono ancora segnali definitivi: in attesa del prossimo cda del 2 aprile, data della prima verifica dell’andamento della pandemia per tutto il paese, dicono di continuare a lavorare per mantenere le date previste del 16-19 giugno, affiancando a un’edizione che sarà certamente più contenuta i servizi della piattaforma ePitti Connect in versione rinnovata.

 

Sulle sorti delle due settimane della moda maschile di giugno, cioè Milano e Parigi, l’annuncio è atteso per stamattina, mentre Kering fa sapere che i ricavi del primo trimestre dell’anno potrebbero accusare un calo fra il 13 e il 14 per cento a cambi correnti e Pablo Isla, ceo di Inditex (Zara), affianca alla pubblicazione sui risultati ottimi del 2019 (e il crollo delle ultime due settimane) una comunicazione sulla prossima conversione dell’azienda alle esigenze sanitarie della Spagna. Trasformazione e adeguamento della manifattura, come in tempi di guerra, ma soprattutto molto e molto pubblico impegno sociale ed etico. L’unica chiave di marketing possibile in questo momento e, a detta dei più importanti strateghi di tendenze globali, primo fra tutti il gruppo Wgsn che il Foglio ha consultato in questi giorni, l’unico anche per mantenere vitale il business per settori non propriamente essenziali come la bellezza e il benessere personale, che pure sembra usciranno vincenti da questo tsunami per il business, i viaggi a lungo raggio (che senza alcun dubbio verranno per lungo tempo sostituiti dalle visite e dalle vacanze forse non sotto casa ma di certo entro il raggio di qualche centinaio di chilometri) e naturalmente la moda. Lo si vede già nelle pubblicità di questi giorni: alle pagine di solidarietà per il personale medico o alle donazioni agli ospedali da parte di chi già sa, di chi ha già vissuto altri momenti difficili e di chi ha la capacità di prevedere le evoluzioni dei gusti e delle esigenze come Giorgio Armani, il gruppo Prada, Gucci o Andrea Recordati, si affiancano le “esperienze” video messe in atto dai musei, o dagli uffici del turismo di zone geografiche che non si aspettano un immediato ritorno di turisti, vedi il Centro America (#iorestoacasamaviaggiolostesso). Molti reading in house, molti concerti fra quattro mura, mentre già gli esperti prevedono la prossima professionalizzazione di tutti noi come operatori video, tecnici della fotografia, creatori di contenuti. Poi ci sono quelli che non capiscono. Tante pr, per esempio, che lavorano in smart working cioè rintanate in casa come tutti ma che si ostinano a farlo come se il mondo non fosse cambiato e inviano con lo stesso lessico e gli stessi birignao di un tempo la foto dei nuovi stivaletti del cliente indossati dall’influencer XY, quel mestiere in via di sparizione vittima della propria nemesi, l’influenza da Covid-19. E poi ci sono tutti gli altri, quelli che invece hanno capito benissimo. It’s time to give back, è arrivato il tempo di restituire tutti i multipli grandiosi degli accessori venduti fino all’altro ieri. Si chiama reputation strategy.

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