foto LaPresse

Cosa fare della moda ai tempi del lockdown?

Fabiana Giacomotti

“La moda non è avulsa dalla realtà. La moda è ciò che accade”. Chiacchierata con Fedele Usai, ad di Condé Nast

Milano. “Quando la gente mi chiede della guerra, di quanto sia difficile realizzare e pubblicare un magazine come Vogue in questo momento, rispondo sempre: che razza di rivista credete che sia? Le mode non sarebbero tali se non rappresentassero lo spirito, le necessità e le restrizioni del loro tempo”. Era il 1941 quando Edna Woolman Chase, per trentotto anni alla guida del mensile americano, record tuttora imbattuto, rispondeva  piccata alle osservazioni del Fashion Group di New York in uno speech che è passato alla storia. Alle conclusioni sul ruolo sociale e storico dell’editoria di moda pare fosse arrivata dietro suggerimento della sua omologa inglese, la formidabile Audrey Withers che pochi mesi dopo avrebbe inviato sul fronte francese come fotoreporter Lee Miller, ex modella di Vogue e musa di Man Ray che sì, fu fra le prime a entrare nel campo di concentramento di Dachau e sì, ne pubblicò le immagini su Vogue. Di quegli ipotetici retroscena rimase però il risultato di un boom editoriale che le edizioni del mensile non avevano mai sperimentato prima di allora e che l’attuale ceo di Condé Nast Italia, Fedele Usai, intende emulare: “La moda non è avulsa dalla realtà. La moda è ciò che accade”.

 

Modus. I modi, la percezione di quello che la gente vuole sentire e capire oltre, ma anche dentro ai vestiti. La linea editoriale di allora è quella di oggi: “Rispondere alle aspettative” del lettore “sviluppando il senso di comunità” senza mai perdere di vista la propria missione. Nelle ultime tre settimane, grazie anche a una serie di iniziative promozionali free e alle iniziative di engagement costante delle redazioni, le edizioni online delle riviste del gruppo si sono avvicinate ai 26 milioni di utenti singoli, un risultato eclatante rispetto ai 22 milioni pre-pandemia, benché Usai aspetti la fine dell’emergenza per tirare le somme: per parafrasare uno slogan ormai entrato nel lessico comune, vincere adesso, con milioni di persone agli arresti domiciliari che aspettano solo di essere informate e intrattenute, è fin troppo facile. Però, è adesso che si creano i legami, i “bond” che nel settore editoriale sono moneta corrente. La fedeltà al brand, il senso di adesione e di appartenenza. E dunque, ecco l’ultimo numero di Vanity Fair dedicato agli operatori sanitari, ai farmacisti, agli impiegati e ai volontari impegnati nella lotta contro la pandemia, in edicola per due settimane, ricavato interamente devoluto (ma, si intuisce, in buona parte anticipato) all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo; ecco il numero di Vogue di aprile che non è ancora arrivato nelle edicole perché il direttore Emanuele Farneti ha voluto rifarlo integralmente, con lo sforzo reso necessario dallo smartworking che la casa editrice ha adottato fin dal 25 febbraio: parlare al mondo come tre settimane fa non sarebbe stato accettabile. Soprattutto, non sarebbe stato etico, un aggettivo che ricorre molto spesso nelle osservazioni di Usai, pur conosciuto per la rapidità spiazzante e la determinazione delle proprie decisioni. Etica nei rapporti con i dipendenti (“ci stiamo preparando al rientro, che dovrà essere graduale e flessibile per chi arriva da lontano o chi ha figli. Ormai non sarà più possibile parlare al solo dipendente, bisognerà tenere conto dei nuclei famigliari”), etica nelle relazioni interpersonali (“è incredibile come questa modalità di lavoro ci abbia avvicinati”), etica nei progetti e nei programmi di sostenibilità (“credo che la moda abbia risposto fra le prime alle sollecitazioni”), etica nell’inevitabile “pulizia” e “razionalizzazione” che si verificherà in molti comparti e molte professioni ridondanti e inutili del settore della moda, si capisce, ma anche della comunicazione e dell’editoria: “Credo che un certo approccio fai da te sia finito, torneranno le competenze”.

 

E se adesso, con aziende e distribuzione fermi per tutti i settori non primari, risulta difficile fare previsioni in merito all’andamento pubblicitario (in moltissimi casi, le aziende hanno congelato i budget: solo i più lungimiranti e i più liquidi continuano a investire, perlopiù nella cosiddetta “reputation” di cui scrivevamo qualche giorno fa e che si accompagna alle tante iniziative no profit a favore dell’emergenza) non di meno Usai si ritiene piuttosto ottimista “per un rimbalzo anche minimo nell’ultimo quarter dell’anno (solitamente il più ricco) se avverrà una progressiva riapertura delle attività da maggio in poi”.

 

Queste settimane di alfabetizzazione digitale urbi et orbi potrebbero addirittura aver rafforzato un mercato ancora limitato sul territorio italiano come l’e-commerce.

Di più su questi argomenti: