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La Lombardia che non ha smesso di lavorare (anche uscendo di casa)

Daniele Bonecchi

“Oggi lavorano 50 imprese su cento e producono il 50 per cento”, dice Confindustria. Come resistere

C’è una Lombardia che si batte, giorno dopo giorno, contro Covid-19, a partire dagli ospedali o più semplicemente tra le mura di casa. Poi ce n’è un’altra che, tra mille insidie, cerca di mandare avanti l’economia. Non si fa fatica a trovarla, basta cercarla, tra le 6 e le 7 del mattino, sui vagoni affollati (un problema, che Atm sta cercando di gestire) della metropolitana, tra la gente che va a lavorare (non senza timore), spesso senza nemmeno una mascherina (introvabile) sul viso. Le cifre del lavoro, pur dimezzato, in Lombardia sono del resto eloquenti: la stima è che in regione si muovano per svolgere attività non supportate dallo smart working circa un milione e 200 mila persone, e 600 mila a Milano.

  

“Noi invece abbiamo puntato sulla sicurezza di chi lavora per mandare avanti le nostre aziende – spiega Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, ispiratore del protocollo poi fatto proprio dal governo – Abbiamo condiviso coi sindacati la necessità di garantire sicurezza ai lavoratori. Poi abbiamo trovato l’intesa sull’incentivo a utilizzare le ferie, evitare le trasferte, chiudere i reparti non indispensabili. Abbiamo puntato su queste misure perché i lavoratori sono il vero valore di un’impresa. Certe volte valgono di più anche dell’imprenditore. Noi dobbiamo tutelare i nostri collaboratori perché senza di loro non si può andare avanti”. Ma anche perché senza beni di prima necessità e servizi essenziali le nostre città non reggono. Solo un esempio: “Sono andato a trovare in ospedale una persona a me vicina, qui sul lago (di Garda, ndr). I reparti anche qui sono sovraccarichi di pazienti malati di coronavirus, un disastro. E se fossero chiuse le aziende che fanno assistenza tecnica per gli impianti ospedalieri cosa succederebbe? Sarebbe un problema gravissimo: le aziende che lavorano per la Sanità bisogna tenerle aperte”, insiste Bonometti. L’intesa trovata, prima in Lombardia, poi a livello nazionale con le parti sociali sembra funzionare. “Il protocollo della Regione è stato usato per l’intesa nazionale e mi fa piacere. Nelle scelte di fondo abbiamo pensato, prima di tutto, a tutelare la salute, poi il lavoro. E’ così che abbiamo scritto il codice di comportamento per le aziende, per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori e così abbiamo contenuto i danni permettendo alle aziende strategiche, quelle che dovevano per forza lavorare, di mantenere viva la produzione. Anche perché ci sono settori chiave, come quello farmaceutico, l’alimentare, anche quello delle manutenzioni”.

 

Alcune categorie, come quella delle costruzioni che certo non può lavorare in regime di smart working, si sono tirate indietro e con ragione. “Il flagello che subiamo tutti con questa pandemia ha fatto passare in secondo piano il fatturato, le ragioni del profitto, l'organizzazione”, ha detto Marco Dettori, presidente di Assimpredil Ance. “Operai, impiegati, collaboratori, hanno paura. E’ responsabilità dell’imprenditore delle costruzioni tutelare la salute dell’intera rete che ha queste relazioni e di limitare, concordemente a quanto disposto dal governo, gli spostamenti di persone mezzi e merci e dare un segnale responsabile di tutela della salute pubblica a partire da quanto noi si possa fare per questo obiettivo. C’è chi ha scritto giustamente che le costruzioni hanno fame di commesse, ed è vero, ma, rispondiamo noi, non ad ogni costo. Esiste il limite non valicabile della tutela della salute pubblica, di quella dei nostri lavoratori e collaboratori, e quella non può essere sacrificata alla mancanza di presa di responsabilità di un ministero rispetto ai suoi impegni nel blocco temporaneo delle commesse pubbliche. Gli imprenditori delle costruzioni, titolari di imprese grandi e piccole, si stanno prendendo le loro responsabilità, pur consapevoli dei danni economici che gli deriveranno, sacrificandoli volentieri rispetto a dover sacrificare il loro personale e i loro operai”, conclude il presidente dei costruttori. “Oggi in Lombardia lavorano solo il 50 per cento delle imprese e quelle che sono aperte producono al 50 per cento delle loro possibilità. Anche perché hanno capito che è logico mantenere solo le attività indispensabili. Hanno cercato, seguendo il nostro invito, di mandare in ferie i lavoratori dei reparti non indispensabili”, chiarisce Bonometti. Le prospettive degli imprenditori sono realistiche, “ci aspettiamo che la situazione resti bloccata per 2 o 3 mesi. La cosa più drammatica è che usciamo da questa esperienza nettamente cambiati, come del resto un po’ tutto. Ci sarà un’altra rivoluzione nella rivoluzione, i posti di lavoro saranno difficili perché andrò ripensata tutta l’economia. Certo può essere una occasione per ripensare il modello di paese, il modello di Europa, che di fatto non esiste più. Dovrà essere ripensato il modello di società. Bisogna avere la forza di guardare avanti, capendo che la sanità è un bene primario, un investimento”, conclude il presidente di Confindustria Lombardia.

 

Il fatturato nella grande distribuzione cresce, anche se non dappertutto. “Nei piccoli e medi punti vendita che trattano gli alimentari si arriva a punte di crescita del 21 per cento”, spiega Giorgio Sant’Ambrogio, ad del gruppo VeGè e presidente dell’Associazione distribuzione moderna. “Negli ipermercati la situazione è diversa, una vera e propria debacle, perché le persone preferiscono andare nel piccolo supermercato sotto casa piuttosto che prendere la macchina per raggiungere il grande ipermercato. Le grandi superfici sono penalizzate, anche i cash and carry vanno male, perché con la chiusura di bar e ristoranti hanno perso il grosso dei clienti. Nel comparto dell’alimentare la situazione è questa: bene i punti vendita di piccole e medie dimensioni male gli altri”, chiarisce Sant’Ambrogio. “Sul fronte della sicurezza non ci sono problemi: tutti i punti vendita hanno guanti e gel sanificante all’ingresso, con un cartello che illustra le procedure ai clienti. I punti vendita, compresi i magazzini, vengono sanificati tutti i giorni e gli operatori hanno la mascherina omologata”, conclude il presidente di Adm. Ma nel mondo alimentare c’è anche chi rischia di chiudere la propria azienda: sono gli ambulanti, quelli che, fino a qualche settimana fa popolavano gli affollati mercati all’aperto. Il loro presidente, Giacomo Errico (Apeca) non usa mezzi termini e parla di “ottusa presa di posizione” che impedisce una soluzione ragionevole, come gli ingressi scaglionati nell’area dei mercati o la consegna a domicilio delle merci a cura degli stessi ambulanti”. In Lombardia la macchina dell’ospitalità, colpita duramente dall’emergenza sanitaria, non ha nessuna voglia di fermarsi, al punto che gli albergatori (Federalberghi) hanno accettato di collaborare nella lotta contro Covid-19, accogliendo, a prezzi calmierati, medici ed infermieri arrivati in questi giorni dagli altri paesi del mondo. Non solo a Milano ma anche a Bergamo, Brescia, Cremona, Lecco. Negli alberghi della regione hanno già trovato una sistemazione infatti 150 medici e 300 infermieri. In attesa che la Lombardia torni ad essere il cuore del turismo europeo.

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