Il direttore dell'accademia di Brera James Bradburne (foto LaPresse)

La città della cultura e dei teatri che non ci sta a chiudere per paura

Paola Bulbarelli

Da Brera al Poldi Pezzoli, passando per il Teatro Parenti. L'invito è a non abbattersi e a lavorare per tornare "alla vita di prima"

Non si vive di solo pane neppure al tempo di coronavirus. Ma la cultura piange. Musei chiusi, teatri e cinema idem. Eventi, inaugurazioni, vernissage. Tutto posticipato se non annullato. C’è un malumore palpabile, tra i milanesi che vivono anche di cultura e di bellezza: sia chi lo fa per professione, sia il normale “pubblico”. Ma c’è anche voglia di reagire. E non a caso personaggi della cultura milanese sono stati i primi a lanciare il grido che sembra svegliare anche il mondo dell’economia e della stampa: basta farci male da soli!

 

Mercoledì il direttore di Brera, James Bradburne, vero innamorato di Milano, ha consegnato la sua idea al Corriere: “Vedere il Duomo, la Scala e Brera chiusi mi rattrista, perché sono simboli della cultura, della città e della civiltà… Non posso che guardare il museo chiuso senza una particolare emozione” ha detto. “Questi sono i luoghi dove le persone vanno anche per consolazione, per fare esperienza e darsi forza”. Consolarsi e aver voglia di reagire. Lionello Cerri, ad delle sale dell’Anteo è stato costretto ad abbassare la saracinesca come tutti i suoi colleghi, “con una perdita per il grande schermo milanese di 100 mila spettatori”. A Palazzo Morando era prevista l’inaugurazione della mostra fotografica “La lunga vita” voluta da Fondazione Farmafactoring con il supporto di Fondazione Censis e CERGAS-Bocconi. Niente. “Per chi fa il mio lavoro è un disastro economico – spiega Giuseppe Silvestrin, progettista della mostra – Se si continua su questa strada il danno sarà enorme. Ci congelano le operazioni già confermate, è drammatico. Chiudere le università, i teatri, i musei significa cambiare in maniera radicale e violenta la vita di una città. Noi non siamo abituati a essere sigillati in una casa”. Soffre anche Andrea Di Lorenzo, vice direttore del Poldi Pezzoli: “È una tristezza per la cultura ma penso che noi cittadini dobbiamo cercare collaborare con chi ha dovuto assumersi questa responsabilità. Sono misure drastiche ma tutti ci auguriamo che siano utili per tornare alla vita di prima “.

 

Anche Ilaria Borletti Buitoni, presidente della Società del Quartetto di Milano e vice presidente del Fai, si allinea con le disposizioni che prevedono le chiusure. Ma spiega: “L’ho fatto convintamente pur cosciente che questo virus ha un tasso di mortalità molto basso. Stimo Ilaria Capua e seguo la sua posizione che mi pare moderata e ragionevole, l’obiettivo è quello di limitare il contagio per evitare che questo problema possa far saltare il sistema sanitario con costi sociali altissimi. Milano è una città vitale, appena questo momento sarà passato ritornerà a essere tale”. Non si allinea invece per nulla all’emergenzialismo la regista Andrée Ruth Shammah, regista teatrale e anima del Teatro Parenti. “Vorrei evitare che si pensasse che mi permetto di dire cosa bisognava fare”, spiega, ma “la Scala chiusa era dal dopo guerra che non avveniva. Il tema è cosa vuol dire una città costretta all’isolamento. Vuol dire che una serie infinita di persone è privata dal luogo del confronto e del pensiero. Questo mi dispiace. Non voglio discutere se c’erano altre misure, non spetta a me. Voglio sottolineare che è una cosa che non può passare inosservata e che la gente non può non parlarne: tenere aperto un ristorante e chiudere un teatro ha un significato molto forte”.