Il regime del lockdown
Ricerche e innovazione. Come si esce dalla dittatura autarchica della quarantena
Sono oggettivamente da regime dittatoriale autocratico le condizioni in cui ci fa vivere il lockdown. Sospese le libertà individuali, di muoversi nel territorio nazionale, di riunirsi, di manifestare; limitato il diritto di proprietà; ridotto a simbolica formalità il potere legislativo, quello delle camere elette, assunto dal potere esecutivo che agisce con propri decreti, e si fa legittimare da tecnocrati da lui stesso nominati. Costretti a vivere reclusi in ambienti ristretti, da cui si può uscire solo per le necessità indispensabili per la sopravvivenza. La vita sociale ridotta praticamente a zero, quella lavorativa limitata al cosiddetto smart working; che sarà anche la modalità del futuro, ma comporterà da un lato la taylorizzazione del lavoro impiegatizio per poterlo pagare a cottimo, dall’altro la perdita della “serendipity della macchina del caffè”. Tutto questo mentre il paese sprofonda in una crisi economica che lo fa arretrare di una generazione. I regimi autocratici si reggono sulla paura, perlopiù della morte: che qui è il possibile esito di un’agonia solitaria, dolorosa, interminabile.
Lo straordinario comportamento dei cittadini lo chiamiamo senso civico, in realtà è paura della morte e di strazianti sofferenze. Adesso sappiamo di potere contare su ospedali che da questa tragedia hanno imparato molto, e sulla presenza sul territorio di sentinelle che ci allertano del sorgere di focolai e di catene di contagio: basterà per osare riprendere la nostra vita lavorativa e sociale? Oppure perché tutto torni come prima ci vorrà il vaccino, e questo, dicono, ammesso che gli anticorpi riescano a inseguire le mutazioni dell’antigene, non sarà disponibile prima di due anni: li aggiungiamo alla nostra età anagrafica e pensiamo a come sarà allora la nostra vita senza più la paura di quella morte.
Alla luce delle esperienze in rianimazione, i medici incominciarono a nutrire dei sospetti che la malattia non interessasse solo i polmoni. Quando poi furono eseguite le prime autopsie ci si rese conto che la malattia infiammatoria era generalizzata a tutto l’organismo, determinando problemi a carico di altri organi, con grave compromissione della coagulazione. Quest’ultimo aspetto rappresenta di fatto la più grave complicazione per l’evoluzione verso trombosi, trombo-embolia e perfino Cid (coagulopatia intravasale disseminata). Oltre che con gli antivirali, si incominciò a trattare i malati con clorochina, eparina a basso peso molecolare, cortisone e antibiotici. Il Journal of Critical Care riporta sei articoli, italiani e israeliani, e 23 prove cliniche in corso in Cina. Di tre studi clinici in corso in Italia a cura dell’Agenzia del farmaco si attendono i risultati per giugno. Sulla rivista Cell è stato pubblicato lo studio di un (altro, si pensa) farmaco sperimentale realizzato da un team di ricercatori dell’Università della British Columbia guidato dal dottor Josef Penninger. Se i primi risultati venissero confermati, la pandemia diventerebbe un’altra cosa: da una malattia il cui esito è per alcuni una morte terribile in ospedale, diventerebbe un’influenza, magari più fastidiosa delle altre, ma che si cura stando nelle propria casa. Senza morire.
Meglio ancora se la terapia sarà congiunta a sistemi in grado di individuare con immediatezza quelli che un infetto avrebbe potuto contagiare. La strategia del contact tracing, già adottata a Singapore e Taiwan, desta grandi aspettative e qualche perplessità. Aspettative di consentire la cura al primo insorgere del male, ulteriormente aumentando la probabilità di prognosi favorevole. Perplessità per la proprietà dei dati: ma per questo dovrebbe bastare il parere dell’Autorità per la garanzia della privacy, per il quale un’applicazione non obbligatoria, previo consenso ritirabile in qualunque momento, con trasmissione criptata dei dati e identità anonimizzate non presenta problemi, neppure se associata al Gps. Resta da decidere se la privacy è più garantita con i dati conservati, e successivamente cancellati, sul proprio smartphone o su una memoria centrale. Per me non c’è dubbio.
Come strategia è la stessa usata da noi con i primi casi di Covid-19, (e in Inghilterra per bloccare l’epidemia di Hiv), ben presto abbandonato per la difficoltà di ricordare e individuare gli incontri. Era fatto “a mano”, quanto a privacy, offriva garanzie infinitamente minori. Il vero problema sono le strutture, necessariamente pubbliche, che del funzionamento sono l’indispensabile presupposto: tamponatura estesa per individuare l’infetto, intervento personale immediato con quelli che ha avuto la possibilità di infettare.
Allora potremo anche noi, con Brahms, chiederci: “Morte, dov’è il tuo dardo?” . Senza la minaccia di morte, il regime autocratico cadrà, noi saremo trasformati e con nuova fiducia cercheremo di ricostruire quello che abbiamo perduto. Almeno quello che si può.
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