Padre Bernardo Gianni (foto Facebook)

La messa su Facebook di padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato

David Allegranti

L'abate benedettino: “La reazione della Cei mi è sembrata spropositata, anche se è molto discutibile il divieto elementare di celebrare l'eucarestia. Ma non mi sento di dire che c’è stato un attentato alla libertà di culto”

Roma. Ieri la chiesa fiorentina di San Miniato al Monte ha compiuto 1.002 anni. Padre Bernardo Gianni, abate benedettino di San Miniato, nel 2019 scelto da Papa Francesco come predicatore per gli esercizi spirituali della Quaresima, ha aperto eccezionalmente la porta d’ingresso “per significare l’apertura di una chiesa che includa la realtà in una prospettiva di bellezza e speranza”. Non c’era nessuno, naturalmente, complice il lockdown, ma grazie ai suoi profili social, Facebook e Twitter, padre Bernardo ha potuto fare quello che sta facendo da due mesi: diffondere la parola di Dio attraverso Internet.

 

“Le persone in questo modo possono comunque identificarsi, attraverso i social, in uno spazio valicabile: la chiesa deve diventare, più che un fortino in cui ricascare in contrapposizioni, un luogo di crinali valicabili da cui si scoprono nuovi versanti. Mi piacerebbe che fosse il linguaggio della chiesa ma anche della politica”. Mai come in questo momento, dice padre Bernardo, “avverto una povertà lessicale, immaginativa, in questa numerazione di fase 1, fase 2, fase 3 e 4; mi piacerebbe che la politica, in un momento difficile come questo, trovasse un linguaggio non dirò poetico ma quantomeno evocativo che dovrebbe essere appannaggio non solo dei profeti ma anche di chi ha a cuore le sorti di una comunità civile. Quindi sarebbe importante potere immaginare il passaggio da un tempo della necessaria preoccupazione-paura a un tempo del coraggio e della speranza; questa dimensione della speranza e del coraggio non deve mettere a rischio le fasce della popolazione fragile come è accaduto ahimè per scelte sconsiderate fatte fin qui. E’ nella tradizione di questo paese – nelle sedi civili e con linguaggio laico – la capacità lessicale di prospettare cambiamenti in positivo. Penso a parole come risorgimento, resistenza, ricostruzione. Il paese si attende una capacità di lettura della storia di questa portata; un compito dei politici ma anche di chi è preposto ad aiutare con il pensiero, cioè la chiesa”.

 

Ecco, da questo punto di vista, dice padre Bernardo, “la reazione della Cei mi è sembrata spropositata, anche se è molto discutibile il divieto elementare della celebrazione della messa, a eccezione dei funerali. Non mi sento di dire che c’è stato un attentato alla libertà di culto. L’esperienza della fede in Cristo, come ci dimostra il martirio di tanti protagonisti in tempi bui, è un esercizio di libertà che è stato messo alla prova nella storia sia da uomini e donne che hanno inteso sopprimerla sia dalla difficoltà oggettiva in tempi come quello presente. L’attuale situazione rende difficoltosa l’abituale esperienza di fede insieme; questo non significa togliere la libertà ma metterla alla prova”. Padre Bernardo la chiama “la fantasia dello spirito”. In questo modo la chiesa può esserci anche laddove in questo momento non si può, senza per questo gridare alle libertà violate.

 

E’ importante che un’esperienza così forte non contribuisca alla contrapposizione, come già sottolineato da Papa Francesco. Fa parte dello spirito del Concilio la capacità della chiesa di abitare la realtà con intenti di collaborazione, umiltà, determinazione, senza cedere alla tentazione di sentirsi delle vittime”. Uno si immagina che i monaci possano essere già ben attrezzati all’isolamento, eppure anche un momento del genere può comportare la necessità di domande supplementari: “Come monaci ci siamo chiesti che cosa possa significare il contenimento dello spazio tipico della tradizione monastica, quello che La Pira chiamava ‘geografia della Grazia’, quel frammento capace di ospitare il tutto”. E’ proprio questo tipo di isolamento che “ci invita a fare tesoro del dettaglio delle relazioni più intime, personali, famigliari, senza perdere di vista l’universo al quale apparteniamo”.

 

Dunque, “se noi agitiamo vessilli di libertà di culto perdiamo un’opportunità di autenticità prima ancora che pastorale e di identità. Come sempre succede sono la prova, il limite e la sofferenza a far riscoprire l’autenticità”. Gli ospedali di questi mesi ne sono la testimonianza, dice padre Bernardo. Per questo è importante evitare le ideologizzazioni sulla “chiesa chiusa, chiesa aperta, come se in forza di questo si giocasse la riconoscibilità della chiesa oggi”. Sono molti gli strumenti a disposizione per aprire la chiesa. “Papa Francesco ha smascherato le pretese ipertecnologiche di controllo e dominio sulla realtà, mettendoci a nudo nella nostra fragilità esistenziale ma anche molto feconda. Resta però vero che l’uso intelligente e creativo della tecnologia può diventare un ricamo spirituale che connette la gente. Detta altrimenti, finalmente c’è la possibilità che il telefono sia un costante luogo teologico di speranza, condivisione e rilancio verso un attesa paziente di futuro”. Che è quello, dice padre Bernardo, che dovrebbe fare la politica ma anche la chiesa.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.