Papa Francesco (foto LaPresse)

Papa Francesco e le parole per il figliol prodigo che fanno arrabbiare i bravi figli

Adriano Sofri

Note su un articolo di Galli della Loggia. Il potere, la gloria e i milioni di fedeli (e non) che si sentono feriti dalla predilezione per i peccatori

Vorrei discutere l’articolo di Ernesto Galli della Loggia (sul Corriere di domenica) intitolato “Una Chiesa poco politica”. Lo riassumo, scusandomi. Il discorso di Bergoglio, dice GdL, si mostra sempre più politico, e in realtà è sempre più ideologico, rischiando così di perdere l’efficacia politica. E dunque segna una rottura con la costante capacità della Chiesa di misurarsi col mondo, con le grandi masse di uomini e donne, con i “movimenti generali entro il sistema degli stati al fine di affermare la propria peculiare presenza”. Il discorso pubblico di Francesco, appena fuori da cerimonie e riti, diventa un discorso sociale depurato dal fondamento religioso. GdL indica due motivi principali di questo distacco dalla tradizione. Il primo è che il Papa non si rivolge agli “uomini di buona volontà”, ai “governanti”, alle “autorità”, al “mondo”, o a categorie professionali particolari, ma “a soggetti vittime di situazioni negative”. Parla ai popoli, ma sempre “nella parte meno favorita della società”. E’ questa la cifra che vuole imprimere al proprio pontificato. Il secondo motivo è l’abbandono della dottrina sociale della Chiesa, mediatrice tra capitalismo e socialismo, e l’abbandono dell’“universalismo umanistico conciliare”. Il Papa mostra una costante noncuranza per l’occidente, una ostilità di fondo agli Stati Uniti, un disinteresse alla divisione crescente fra un’Europa del nord e una, cattolica, del sud, e una distrazione, un’omissione, nei confronti del ruolo di Cina e Russia. Insomma, Francesco segue un’ideologia “populistico-comunitaria-anticapitalistica”, tipica del sud del mondo. Nel suo discorso sociale GdL denuncia l’assenza della conversione e della trascendenza, che della religione sono l’essenza.

 

 

Una prima impressione colpisce: la limitazione, anzi la vera mutilazione, che GdL vede nella dedizione pressoché esclusiva che il Papa rivolge alle parti più disgraziate della società, è la stessa che si è denunciata, da tempo, come la sbandata di una sinistra disorientata che ha abbandonato il suo radicamento di classe e il tema del lavoro per cercare un fragile rinnovamento nella rappresentanza dei “diritti”, riservati alle parti sfavorite della società. La sinistra delle diversità sessuali, degli immigrati, dei detenuti, dei devianti. La sinistra degli “ultimi” a scapito dei penultimi. La sinistra, magari, di Carola e di Greta. Si direbbe dunque che il Papa Francesco e la sinistra già di classe abbiano avuto una involuzione parallela; benché il primo muova dal Vangelo e la seconda muovesse da premesse materialiste, ma intrise a loro volta di messianismo. E’ una questione singolarmente stimolante, che GdL chiude sbrigativamente, mi pare, addosso al “populismo anticapitalistico” di Francesco, sinonimi del “peronismo di sinistra” col quale si presentò a San Pietro dall’altro capo del mondo. Molto sommariamente, trovo però che la conversione e il pentimento siano un connotato centrale nella predicazione del Papa, quella quotidiana e quella solenne dell’enciclica Laudato si’. Mi pare anche che l’insistenza, politica e non ideologica, all’unità europea e all’Unione europea sia oggi cruciale nei suoi interventi, rispetto alla piega presa dalla ridistribuzione delle potenze sul pianeta.

 

 

Ma è un altro il punto che mi preme. Dopo aver additato la parzialità caratteristica dell’attenzione di Francesco, quella riduzione agli “sfigati” (mi scuso), GdL riconosce che sono “tutte cose certamente più che compatibili, in un certo senso connaturate al messaggio evangelico”: che però, il Vangelo, “viene messo sullo sfondo fino a svanire”. Io non me la sento di rimproverare al Papa di essere un cattivo credente – non sono credente – ma è proprio l’affabilità senza carisma e l’effettiva premura di questo Papa per il dialogo con la società ad autorizzare la discussione. C’è una famosa parabola nel Vangelo di Luca sulla quale mi arrovello da anni, quella del figlio prodigo, perché mi sembra contenere la questione su cui si misurano il Papa sospetto di ideologismo e la sinistra dopo essere diventata postideologica. So che la parabola ha innumerevoli interpretazioni, e Maurizio Crippa l’ha citata qui, appena ieri, piuttosto come la parabola “del Padre misericordioso”. Mi interessa il figlio rimasto a casa, quello col quale è più difficile negoziare. Con l’altro, il minore, che aveva voglia di grandi spazi, quello che se n’è andato e ha conosciuto il mondo e ha dilapidato la propria eredità anticipata e se stesso, e si umilia nel brago dei porci e torna pieno di vergogna, con lui è facile identificarsi. E’ uno dei nostri, uno del movimento.

 

Il problema è l’altro, il figlio maggiore, che torna dai campi e sente la musica e i balli e gli dicono che il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, e per lui mai neanche un capretto. Il padre gli dice: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Il racconto finisce qui: non dice se il primogenito che aveva sempre obbedito, smetta di essere arrabbiato. Questo è, può essere, un nuovo torto fatto al figlio bravo, al bravo figlio. (La parabola non finisce mai, rileggetela e mettetela sopra al ritorno di Silvia Romano dalla sua Africa, e la rabbia di troppi altri, che erano rimasti a casa). Ora, i milioni e milioni di donne e uomini cui la Chiesa secondo GdL non parla più, non sa più parlare, sono come quel fratello maggiore. Ma è difficile renderne responsabile Francesco, e azzardato vedervi un tradimento del Vangelo.

 

Mi scuso di dire alla leggera cose troppo gravi di precedenti. Il cristianesimo, e senz’altro il Vangelo, ha un’inquietante e inquieta predilezione per il peccatore. Per il Grande Peccatore specialmente, per l’Innominato e non per il mediocre don Rodrigo. Forse il peccato originale, la sua ingiustizia certa – per chi non vi legga una metafora della sproporzione fra l’audacia degli umani e la loro vulnerabilità – è servito a risarcire le vite ordinarie, i milioni che sono rimasti a casa o che se ne sono staccati solo perché qualcuno li ha sradicati a forza. La Chiesa si è mossa bene, spesso troppo bene, con “i movimenti degli stati, le autorità, i governanti” di cui dice GdL: ne ha ricavato potere, gloria, efficacia, disastri e scandali. A volte ha provato, in alcuni suoi uomini e donne, e perfino al vertice, a stare più attaccata al Vangelo. Quando l’ha fatto ha rischiato, come ora, di deludere i fratelli primogeniti (le sorelle non figurano qui, è un altro affare), di lasciare incustodito l’intero gregge delle novantanove recintate. La ferita di quella festa da ballo nell’anima del fratello maggiore, della gran maggioranza della società che si sente offesa, non è stata risarcita né dal Papa né, tantomeno, dai leader di una sinistra, alla lettera, scombussolata. Con esiti grotteschi, del resto. Tanta parte di società che fu il nervo della sinistra va oscillando nei punti più impensati, ha il mal di mare. E tanta parte dei bravi fedeli che non capisce più il suo pastore e se ne sente abbandonata e offesa e lo sente additare suppergiù come l’antipapa se non come l’Anticristo, non ride né si scandalizza di un capopopolo che maneggia rosari e immacolate gridando che bisogna buttare a mare il fratello screanzato. Penso anch’io che il Papa Francesco non abbia trovato le parole e i gesti che dicano alle persone che si considerano normali, ai milioni di lapidatori di presunte adultere e di effettivi naufraghi e di carcerati, ai milioni di persone che si considerano senza peccato, che loro stanno altrettanto nel suo cuore, e che davvero quello che è suo è loro. Chissà se è possibile. Anche quella parabola dell’adultera finisce senza finire: i lapidatori, interdetti dalle parole spiazzanti, mettono giù le pietre e se ne vanno a testa bassa. Ma è probabile che se ne vadano digrignando i denti, e proponendosi, la prossima volta, di non lasciarsi disarmare dai cavilli di quell’amico di prostitute e adultere ed esattori delle imposte. E’ probabile che si dicano ma in fondo, che peccato vero ho fatto io, è tutta la vita che tiro la carretta. E’ probabile che domani siano ancora più arrabbiati.

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