Così Singapore ha meno paura del virus
Una città stato preparata alle epidemie. Nessun lockdown, tamponi a tappeto e investigatori del virus. L'hub finanziario che non si ferma
Roma. Il confine tra diritto alla privacy e sicurezza pubblica è sottilissimo durante un’emergenza sanitaria. Soprattutto se parliamo di una pandemia. I sistemi che hanno funzionato e stanno funzionando, soprattutto in Asia, sono quelli che hanno a disposizione la tecnologia e anche la capacità di ottenere la collaborazione dei cittadini quando si tratta di mettere a disposizione informazioni personali. Singapore è considerata da più parti un modello da cui attingere per capire come contrastare l’epidemia. Un modello affascinante anche se di difficile applicazione generale: cinque milioni e mezzo di abitanti, un partito – il Partito Popolare d’Azione – che governa la città stato sin dalla sua indipendenza nel 1965, uno strisciante autoritarismo che combacia perfettamente con la richiesta di sicurezza sociale degli abitanti. La prosperità economica – secondo il Fondo monetario internazionale è il terzo paese al mondo per reddito pro capite – va di pari passo con un autoritarismo soft, che riguarda le regole sociali ma che garantisce la sicurezza anche in caso di drammatiche epidemie.
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- Giulia Pompili
È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.