(foto LaPresse)

Evitare la rissa

Paola Peduzzi

Nella raccolta fondi globale voluta dall’Ue per i vaccini non c’è Trump che si occupa di curare prima gli americani

Milano. Ieri la Commissione europea ha organizzato una maratona di solidarietà, globale e virtuale, per raccogliere contributi utili alla ricerca di un vaccino contro il Covid-19: l’obiettivo era di raccogliere 7,5 miliardi di euro. Ursula von der Leyen ha fatto da padrona di casa, ma come spesso accade in queste occasioni sono sempre gli assenti a fare più rumore. Soprattutto se l’assente è l’America di Donald Trump, che già aveva ignorato una riunione virtuale dell’Oms in cui si parlava delle linee guida per la distribuzione del vaccino, quando si troverà. L’Oms non gode delle simpatie trumpiane e lo stesso vale per l’Unione europea: il presidente americano non ha perso occasione nei suoi tre anni alla Casa Bianca di ostentare disprezzo verso tutto ciò che è multilaterale e sovranazionale. Pare che con il vaccino sarà la stessa cosa, o almeno è quello che temono molti leader e addetti ai lavori che da tempo segnalano come la corsa a trovare il vaccino possa trasformarsi in una guerra geopolitica. E l’assenza dell’America nei consessi di solidarietà internazionale non fa che confermare questi timori. In questo caso però, visto che un minimo di esperienza e di pratica dei metodi trumpiani il resto del mondo ce l’ha, si sta tessendo una trama multilaterale abbastanza solida da provare a contenere il disprezzo di Trump verso le iniziative multilaterali. Per questo la campagna di raccolta fondi organizzata ieri dall’Ue non ha un grande significato in termini quantitativi – basti pensare che secondo molti studi, come ha riportato il Financial Times, il costo di distribuzione è stimato attorno ai 20 miliardi di dollari a livello mondiale – ma nel messaggio che vuole inviare.

 

In sintesi: la solidarietà necessaria per gestire la pandemia – nessun paese da solo, “first” o no, può farcela se gli altri stati non sono disciplinati – deve essere mantenuta anche e soprattutto quando ci sarà da distribuire il vaccino, un bene collettivo. L’Eliseo ha fatto sapere: “Fare in modo che la produzione del vaccino non finisca per avere luogo in un posto specifico, o meglio nel posto in cui il vaccino è stato trovato, è il cuore della faccenda”. Ancora una volta si combatte il sovranismo, la tentazione che chi trova il vaccino lo tenga per i suoi cittadini (ed elettori ovviamente). Annunciando i dettagli della maratona solidale un funzionario dell’Ue la settimana scorsa era stato ancora più esplicito: “Vogliamo evitare il nazionalismo sanitario nella sua crudeltà massima”. Il premier Boris Johnson, che in un’intervista pubblicata a puntate sul Sun ha raccontato la paura di morire per il coronavirus, ha usato parole molto precise: “Umanità contro il virus”, l’esatto contrario del cinismo che scandisce la retorica di Trump. Il quale ha lanciato l’“Operation Warp Speed”, un’azione pubblico-privata con l’obiettivo di rendere disponibili 100 milioni di dosi di vaccino a novembre, 200 milioni a dicembre e 300 a gennaio. Quanto vuole investire su questa operazione? “No limit” è la risposta di Trump, che esige un vaccino da vendere in campagna elettorale, agli americani per primi. Il resto del mondo crea una rete di solidarietà alternativa, ed Emmanuel Macron ieri ha detto: convinceremo anche Trump.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi