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Il “cavallo di Troia” del nuovo coronavirus è nato a Pomezia. Nuove speranze

Marianna Rizzini

Parla il presidente di Irbm Science Park, Piero Di Lorenzo

Roma. Il sogno del vaccino anticoronavirus pronto per settembre, e un’azienda italiana, con sede a Pomezia, la Irbm, che collabora con lo Jenner Institute della Oxford University (che a sua volta ha stretto accordi con la multinazionale AstroZeneca) per la sperimentazione e la futura produzione. La sperimentazione è già partita in Inghilterra e, se tutto andrà bene, a fine settembre si potrà cominciare a sperare. L’orizzonte temporale è intanto la fine dell’anno. Da quel momento in poi, sempre se tutto va bene, si potrà cominciare a usare il vaccino prima su una platea ristretta (categorie a rischio come medici, infermieri e forze dell’ordine), poi su larga scala.

 

 

L’azienda in questione, la Irbm Science Park, è stata fondata nel 2009 proprio nella cittadina laziale, collabora con grandi università internazionali e si occupa di biologia molecolare e chimica organica, specie nel campo della ricerca per nuovi farmaci (malattie infettive, tra cui la malaria, oncologia, neurodegenerazione). E’ stata questa società, con i ricercatori Advent, a predisporre in Italia il vaccino contro l’ebola, oltre ad aver sviluppato l’expertise nel campo degli adenovirus, motivo per cui è stata scelta dallo Jenner Institute. “La cosa ci inorgoglisce molto”, dice al Foglio il presidente di Irbm Piero Di Lorenzo, annunciando di aver messo a disposizione esperienza, lavoro (e proprietà intellettuale) in vista dell’obiettivo ambizioso e potenzialmente salvifico. E dunque se a Oxford, dove è stato studiato il vaccino anti Mers, ci si è attivati per i finanziamenti e si è siglato l’accordo con AstroZeneca, a Pomezia, dove è stato studiato il vaccino antiebola, si producono ora i lotti anti Covid-19 da sperimentare sui volontari sani, di età compresa tra 18 e 55 anni. Da un decennio, racconta Di Lorenzo, Irbm collabora con la Oxford University.

 

A gennaio, “quando i cinesi hanno isolato e messo in rete il sequenziamento del virus Covid-19”, dice, “i ricercatori inglesi hanno sintetizzato il gene della proteina spike, che sarebbe quella ‘cattiva’, la parte pericolosa, quella visibile come corona nelle foto. Poi lo hanno inviato a noi. La nostra expertise nel campo ci ha permesso, a quel punto, di mettere a disposizione un vettore, un adenovirus che facesse da ‘cavallo di Troia’, in modo che il gene depotenziato della proteina potesse essere portato all’interno dell’organismo, senza potersi replicare. E in modo che l’organismo, sotto attacco, potesse produrre gli anticorpi e immunizzarsi”. La speranza, dice Di Lorenzo, “con tutti i se e i ma del caso”, è che la sperimentazione vada a buon fine entro fine anno, come si è detto, e che “il vaccino possa essere messo a disposizione dell’umanità, e senza remunerazione per la proprietà intellettuale”. Nel percorso di sperimentazione abbreviato e autorizzato dalla MHRA, l’agenzia del farmaco inglese, vista la gravità della situazione nel mondo in emergenza epidemiologica, il prossimo passo sarà l’ampliamento della platea dei volontari (da cinquecento a tremila).

 

L’Irbm continuerà a produrre i lotti di vaccino necessari ai test, in contatto continuo non soltanto, ovviamente, con i ricercatori inglesi, che inviano a Pomezia il cosiddetto “inoculato virale”, ma anche con ministero della Salute, ministero della Ricerca, governo e Aifa. I finanziamenti arrivano da più parti: dal Cepi (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations, organismo attivo sulla ricerca di vaccini che ha tra i co-fondatori Bill e Melinda Gates), già attivo contro l’ebola, con l’aiuto economico aggiuntivo di un gruppo di banche, e dei governi inglese e di altri paesi del nord Europa. E mentre l’Italia sia avvia verso la fase 2, a Pomezia si guarda al futuro con cautela: “Ripeto”, dice Di Lorenzo, “con tutti i se e i ma del caso, aspettiamo di vedere se le sperimentazioni partite in Inghilterra danno risultati clinici confortanti. A quel punto, se il risultato del test clinico sarà positivo, e lo si saprà a fine settembre, si passerà alla fase di autorizzazione, e si potrà guardare alla fine dell’anno con ottimismo”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.