La riapertura di uno stabilimento Fca a Chieti (foto LaPresse)

Intelligenza del lavoro

Pietro Ichino

La crisi sarà dura ma in Italia c’è una domanda di lavori insoddisfatta. Svolte utili per non sprecare questo 1° maggio

Propongo di dedicare questo Primo maggio a un’idea nuova di “mercato del lavoro”: all’idea, cioè, che esso oggi non sia soltanto il luogo in cui gli imprenditori scelgono i lavoratori da assumere più adatti alle loro esigenze, ma anche il luogo in cui sono i lavoratori a scegliersi l’imprenditore più capace di valorizzare il loro lavoro. Nella maggior parte dei casi, in una economia industriale matura, è già così: il lavoratore sceglie l’impresa dove lavorare quando limita la propria ricerca a una determinata zona, a un determinato settore produttivo (talvolta ficcandosi in un vicolo cieco per difetto di informazione e orientamento), o si indirizza verso l’impresa artigiana piuttosto che verso quella di dimensioni medie o grandi; oppure decide di spostarsi dove trova delle imprese che gli offrono delle condizioni migliori. E accade anche che la scelta dell’imprenditore sia compiuta dal collettivo dei lavoratori di una azienda in crisi: è quello che fecero, per esempio, i lavoratori di Alitalia nel 2008, quando bocciarono il piano industriale di Air France-Klm, il più grande vettore aereo mondiale, e scelsero quello della Cai., la cordata di “capitani coraggiosi” dei quali nessuno aveva mai fatto volare un aereo. Ma furono ancora i lavoratori a compiere, invece, la scelta opposta nel 2010 alla Fiat, quando approvarono il piano industriale di Sergio Marchionne sventando la nazionalizzazione dell’azienda. Vero è che oggi sono troppe le persone di fatto escluse da questa possibilità di scegliersi l’impresa; ma è importante toglierci dalla testa l’idea che questo accada perché “il lavoro non c’è”, perché la domanda di manodopera è strutturalmente inferiore all’offerta. 

 

Non è così. In Italia alla fine del 2019 si censivano un milione e duecentomila situazioni di skill shortage, cioè posti di lavoro permanentemente scoperti perché le imprese non trovavano le persone adatte per ricoprirli. Dei veri grandi giacimenti occupazionali inutilizzati. Dunque non è la domanda di lavoro che manca: a mancare sono i servizi di informazione, di orientamento professionale per gli adolescenti e per gli adulti, di formazione e addestramento mirati a rispondere alla domanda finora insoddisfatta, capaci davvero di soddisfarla. E la cui capacità di soddisfarla sia controllata capillarmente, misurata e resa conoscibile da tutti gli interessati.

 

Capisco che può sembrare assurdo, al culmine della recessione più grave da un secolo a questa parte, parlare di grandi “giacimenti occupazionali” inutilizzati. E però di questo si tratta, e ancora di questo si tratterà nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, quando centinaia di migliaia di aziende riapriranno o nasceranno. Per uscire da questa crisi è urgente dotare il nostro paese di servizi di orientamento professionale e di formazione che rendano i lavoratori capaci di rispondere alla fame di personale qualificato e specializzato di cui soffrono le imprese. Ancora più eccentrico può apparire proporre oggi l’idea che non siano solo gli imprenditori a selezionare i propri collaboratori, ma anche i lavoratori a scegliere e “ingaggiare” l’imprenditore. Eppure è questo che accade, non solo in una situazione normale in un mercato del lavoro maturo, ma anche nella congiuntura peggiore. E per uscire da questa congiuntura è indispensabile attivare i percorsi di formazione efficace, mirata agli sbocchi occupazionali effettivamente esistenti, che consentano a tutti i lavoratori di considerarsi parte di un vero “mercato dell’intrapresa”.

 

Così come è indispensabile che il nostro paese si apra di più al meglio dell’imprenditoria internazionale. Perché il buono della globalizzazione, per i lavoratori, consiste in questo: che essa consente di aumentare anche la concorrenza tra gli imprenditori sul versante della domanda di lavoro. Perché tutto ciò accada sempre più diffusamente occorre una nuova “intelligenza del lavoro”: un’intelligenza che i lavoratori devono saper esercitare sul piano individuale e collettivo, per conoscere e capire il mercato del lavoro in tutti i suoi meccanismi, in modo da poterlo utilizzare a proprio vantaggio. Per questo c’è bisogno di un sindacato capace di assumere come proprio il mestiere di intelligenza collettiva dei lavoratori, che li guidi nella valutazione dei piani industriali innovativi per la contrattazione su di essi, e al tempo stesso il ruolo di partner dell’imprenditore nella progettazione di nuove forme di organizzazione del lavoro e di spartizione dei frutti dell’impresa. Non c’è nulla di meglio che la Festa del lavoro per proporre sul piano delle idee, ma soprattutto proporsi di realizzare nei fatti, questo rovesciamento della visione tradizionale del mercato del lavoro e del ruolo del sindacato, preziosa per aiutarci trovare la via d’uscita dalla crisi di sistema che stiamo attraversando.

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