Cocktail e mascherine

Luciano Capone e Carlo Stagnaro

I problemi del prezzo politico sui Dpi secondo due liberisti da divano con il drink in mano. Risposta ad Arcuri

Il Commissario per l’emergenza coronavirus, Domenico Arcuri, ha parlato – pur dicendo di non volerlo fare – dei “liberisti che emettono sentenze da un divano con un cocktail in mano”, a proposito della loro tesi secondo cui “il prezzo delle mascherine lo fa il mercato”. Gli diamo volentieri soddisfazione, ciascuno da un salotto che il governo ci consiglia di non abbandonare, mentre sorseggiamo un Moscow Mule (Luciano) e un Cuba Libre (Carlo), in ricordo di quei luoghi dove, appunto, il prezzo non lo faceva il mercato.

 

In quei paesi, insomma, dove si sono viste le conseguenze che sarebbe meglio evitare di osservare anche in Italia.

  

Facciamo un passo indietro. La struttura commissariale si è insediata il 18 marzo col compito – tra l’altro – di “procede[re] all’acquisizione e alla distribuzione di farmaci, delle apparecchiature e dei dispositivi medici e di protezione individuale”. All’esordio pubblico, il 22 marzo, Arcuri aveva detto che “entro due giorni tutte le regioni avranno mascherine per gli operatori sanitari” ed “entro sette giorni contiamo di dare a tutti gli italiani i dispositivi di protezione individuale”. Le cose non sono andate proprio così, almeno nei tempi per quanto riguarda le regioni, e non ancora tutti gli italiani hanno le mascherine a disposizione. Ieri, Arcuri ha garantito che, da lunedì, ne verranno distribuite 12 milioni al giorno, il triplo di oggi. In tutto, le regioni hanno già avuto 150 milioni di mascherine, di cui 47 “giacciono nei magazzini” come scorta per i “tempi di maggiore necessità”. Arriviamo così all’ordinanza del 26 aprile, con cui Arcuri ha anche pensato bene di stabilire un prezzo massimo di vendita al pubblico pari a 50 centesimi. Ed è qui che ai liberisti è andato di traverso il cocktail.

  

Non sappiamo quale sia il prezzo in grado di pareggiare domanda e offerta di mascherine. Solo il mercato può dirlo. Se è inferiore al tetto, l’incursione del Commissario è inutile. In caso contrario, è dannosa. 50 centesimi sembrano una ragionevole via di mezzo: tra le cinque e le sei volte più di prima, e un po’ sopra i 38-39 centesimi all’ingrosso a cui si approvvigiona lo stesso Arcuri. Ma non è così ovvio. Si stima che, a questo prezzo, servano circa 18 mesi per ricuperare il costo dei nuovi macchinari. Siamo sicuri che la domanda resterà agli attuali livelli? Quanto ci vorrà per avere un vaccino o cure efficaci? Non c’è il rischio che, nel frattempo, altri produttori (nazionali o esteri) spiazzeranno quelli attuali? Sono domande che un imprenditore deve porsi, e che ricevono una rassicurazione solo parziale dall’impegno statale a ritirare l’intera produzione italiana (non è chiaro per quanto tempo e a quale prezzo).

  

Il prezzo retail, poi, deve remunerare anche la logistica e la distribuzione. Non pochi farmacisti ed esercenti hanno lamentato l’iniquità del cap, visto che loro stessi hanno pagato di più (oltre un euro, nei momenti di maggior tensione del mercato). E a questi picchi può aver contribuito pure la solerzia con cui il Commissario ha rastrellato i dispositivi in circolazione: svolgendo alla perfezione il suo mestiere (al punto che, come lui stesso ha riconosciuto, le regioni hanno accaparrato più mascherine del necessario, almeno nell’immediato), ma lasciando tutti gli altri a bocca asciutta. Arcuri ha annunciato accordi con i farmacisti e altri per rimborsarli dell’extracosto, ma è solo l’inevitabile tentativo di mettere una pezza a un buco che continua ad allargarsi.

  

Se qualcuno risparmierà qualche soldo per la mascherina, altri ne faranno le spese. Per esempio, le imprese in altri settori devono dotarne i dipendenti senza lo scudo del tetto a 50 centesimi: i rivenditori potrebbero rifarsi su di loro per ricuperare un po’ dei margini perduti. O potrebbe nascere qualche forma di arbitraggio tra il settore con prezzo amministrato e quello libero. I produttori nazionali sono forse meno efficienti degli stranieri, e per questo fino a poco fa ci rifornivamo solo all’estero, ma promuovere l’incremento della produzione domestica è proprio uno dei fini della struttura commissariale. Comprimendone gli utili – a parità di altri elementi – finiremo per importare di più e produrre di meno. Con un paradosso: le imprese prima sono state incentivate a entrare in questo mercato, e ora vengono penalizzate con un tetto al prezzo. E con una beffa: l’ordinanza si applica alle mascherine chirurgiche più performanti (quelle con standard Uni-En-14683), ma non a quelle meno sofisticate. Qualcuno potrebbe darsi a prodotti di minore qualità, scommettendo sulla relativa scarsità di quelli migliori e potendole vendere a un prezzo maggiorato.

  

Non si poteva fare di meglio? Eccome. In primis, si possono sussidiare i produttori in cambio dell’impegno a un prezzo massimo di rivendita di 50 centesimi. Secondariamente, il commissario può comprare ancora più mascherine a prezzo di mercato per rivenderle a 50 cent o anche meno, assorbendo l’eventuale differenza. In questo caso, per le categorie più svantaggiate e per cui le mascherine sono indispensabili, possono anche essere distribuite gratuitamente, magari proprio attraverso le farmacie.

  

Ancora, si possono finanziare gli investimenti delle aziende che intendono avviare la produzione di mascherine, vincolando il sostegno a un prezzo finale inferiore a mezzo euro. Tutto ciò attiene ai rapporti privatistici del commissario, a monte e a valle, e richiede accordi contrattuali, non obblighi validi erga omnes. Infine, il governo ha promesso di ridurre o eliminare l’Iva (attualmente al 22 per cento) ma per ora solo a parole. Anche le pratiche di autorizzazione per i nuovi produttori o di sdoganamento per l’import dovrebbero essere rese più celeri. E’ troppo facile prendersela con gli speculatori, quando lo stato è – come minimo – loro partner in crime. Insomma: l’ordinanza di Arcuri rischia di produrre frizioni e scarsità (o quanto meno una maggiore dipendenza dall’import) pur di agitare la bandiera populista del prezzo politico.

  

In tanti hanno ricordato le parole di Alessandro Manzoni sul cancelliere Antonio Ferrer, e lo faremo anche noi: “Arcuri vide, e chi non l’avrebbe veduto? che l’essere le mascherine a un prezzo giusto, è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che una sua ordinanza potesse bastare a produrla”. Dasvidania.

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