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La Francia rossa e quella verde

Jean-Pierre Darnis

L’uscita dal lockdown porta a differenziazioni molto marcate sul territorio. Il fiasco della riapertura delle scuole e la rottura con la centralità parigina

La Francia che esce dal lockdown è divisa in due zone, una verde e una rossa. Quella verde corre lungo la costa occidentale fino a inglobare tutto il sud della Francia; quella rossa si estende intorno alla regione di Parigi e a tutto il nord-est. La definizione di queste zone è stata fatta sulla base di dati sulla diffusione del contagio e disponibilità delle strutture ospedaliere, criteri molto relativi visti gli errori rilevati nella raccolta di dati statistici. Questi errori hanno portato a una specie di rivolta in quelle province erroneamente tinte di rosso in un primo tempo. Si tratta quindi di un buon esempio delle capacità tecnocratiche della macchina amministrativa francese, nel bene e nel male.  Il verde definisce un sistema in cui le libertà sono più estese, mentre il rosso porta con sé costrizioni. Tutto questo crea una dicotomia sul territorio, un evento che, se il momento non fosse tragico, sarebbe anche interessante: la prima esperienza moderna di partizione del territorio francese. Bisogna risalire alla Seconda Guerra mondiale per ritrovare una Francia divisa tra una zona occupata al nord e una zona libera al sud.

 

(Mappa della fine della riapertura in Francia)

  

Anche in Francia ci sarà un “semi-confinamento”, si potrà uscire abbastanza liberamente in un raggio di 100 chilometri, ma sempre conservando le misure di distanza sociale e le varie precauzioni. In zona verde, le scuole potranno riaprire, la presidenza francese che ha dichiarato l'apertura di principio per poi aprire la porta a qualsiasi forma di interpretazione individuale, ovvero lasciando libera scelta ai genitori e anche ai sindaci di decidere, creando conflitti di ogni tipo.

 

La riapertura delle scuole è stata un notevole esempio degli angoli in cui si va spesso a infilare il presidente Emmanuel Macron. Da un lato vorrebbe interpretare un ruolo taumaturgico, prendendo la parola su qualsiasi argomento e cercando di trascendere la realtà con discorsi a cui vuole permanentemente dare un senso anche quando non ci sono soluzioni immediate. Sarebbe alla fine solo un caso di continuità fra monarchia di diritto divino assoluto e presidenza santificata dall’elezione al suffragio universale diretto, se la questione delle scuole non sconfinasse nel ridicolo. Assistiamo a un presidente che commenta le micro-decisioni di sindaci, presidi, professori, genitori, ripetendo l’apprezzamento per il sacrificio di tutti ma in fondo aggiungendo entropia a una serie di dossier eminentemente tecnici che non riesce a padroneggiare.

 

Esiste in Francia un governo, con un primo ministro piuttosto solido, Edouard Philippe, ma anche un ministro dell’Istruzione molto competente, Jean-Michel Blanquer. Essi vengono di fatto esautorati a beneficio di questo flusso continuo di produzione di senso dall’alto, come se la crisi avesse accentuato l’idea (già imbarazzante) che lo stato e le problematiche amministrative dovessero essere espresse da una sola persona.

 

La presidenza francese invece aspira all’onniscienza e l’onnipresenza, il che rende più acuto il problema del fallimento dell’azione politica quando, in Francia come altrove, il potere politico inciampa. Tanto sulle scuole come sul resto si naviga a vista e soltanto l’esperienza permetterà di definire le modalità di un ottimo per la società nel contesto del Covid.

 

La situazione sociale francese sta però incubando germogli di rivolta che hanno radici lontane. Il riferimento più ovvio è quello della precedente crisi, quella dei gilet gialli, che aveva visto una serie di categorie precarie rivoltarsi contro alcune discontinuità. Se si pensa che i gilet gialli esprimevano in larga parte l’insoddisfazione di fasce medie-basse declassate che non ce la facevano, allora la situazione dopo il Covid risulta molto preoccupante con un’ulteriore precarizzazione di questi ceti a rischio. Altro punto debole era stata la riforma delle pensioni, che aveva suscitato una forte opposizione. In questo caso la crisi del Covid ha permesso di rimandare l’attuazione a chissà quando, insabbiando la riforma senza smentire la linea del potere. Sono emerse però tensioni negli ospedali e tra i medici, per anni tartassati da tagli alla spesa pubblica e poi spinti in prima linea a fronteggiare quello che i politici hanno definito la “guerra contro il virus”. I soldati della sanità francese hanno risposto presente, ma già molti hanno dichiarato che non scorderanno le disgrazie passate e intendono presentare il conto a fine crisi: un potenziale partito dei reduci della guerra al Covid.  

 

Come in tutti paesi, la crisi sta accentuando le problematiche precedenti. Esistono nei territori francesi, come in molti altri contesti, delle manifestazioni di grande solidarietà che testimoniano la capacità di resistenza del tessuto civico e la volontà di elaborare di soluzioni collettive. Moltissimi si stanno rimettendo in gioco con grande senso dell’abnegazione, e non va dimenticata l’importanza delle iniziative locali in una società che dà il meglio di sé quando mette da parte le pesantezze del centralismo.

 

La carta rosso-verde della Francia, e il perimetro di 100 km per gli spostamenti autorizzati, sta riattivando questa dimensione locale, quella dei departements, antiche divisioni amministrative create dopo la rivoluzione francese, un radicamento in un territorio spesso poco densamente abitato, e quindi resiliente in quanto crea, fuori delle metropoli, un distanziamento naturale. E' anche per certi versi la rivincita della periferia sul centro, perché spesso i luoghi sicuri sono anche quelli distanti. Dopo la Prima guerra mondiale l’intera industria aeronautica francese fu collocata nel sud del paese, fra Bordeaux, Tolosa e Marsiglia, per non essere alla portata dei bombardieri del nemico tedesco. Oggi, la periferia territoriale francese offre l’opportunità di sviluppare un modello resiliente sostenibile, un modello che può anche beneficiare della tecnologia, ma che passa tramite una forma di rottura con la centralità parigina. Un cambiamento difficile da concepire per un potere che tende a concentrare intorno al suo presidente l’alfa e l’omega dell’azione pubblica.

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