(foto LaPresse)

Il lavoro più difficile

Giulia Pompili

Il dottor Tedros guida l’Oms, l’agenzia che dovrebbe darci il vaccino. Ma è nel mezzo di un conflitto politico

Roma. A un certo punto la sua pagina twitter è diventata un inno all’ermetismo. Tra un ringraziamento e l’altro ai vip che sostengono la mobilitazione contro il Covid-19, Tedros Adhanom Ghebreyesus ha iniziato a pubblicare parole isolate, evocative: “Speranza”, “Umiltà”, “Pietà”, “Perdono”. Uno dei tanti profili fake del direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità risponde impietoso: “Dimissioni”, “Soldi”, “Insabbiare”. Tra le vignette circolate online in questi mesi ce n’è una che mostra il dottor Tedros con una mascherina sugli occhi, rossa come la bandiera rossa a cinque stelle della Repubblica popolare cinese. Tedros, l’uomo che dal 2017 guida l’agenzia dell’Onu per la salute mondiale, è accusato di aver gestito la pandemia pensando alla politica, più che alle conseguenze del virus. Il ruolo dell’Oms avrebbe dovuto essere super partes, trainare la risposta alla pandemia con linee guida chiare e sicure, e invece è finito nelle maglie dello scontro tra due sistemi contrapposti e interdipendenti come quello americano e cinese. Tedros ha un compito difficile, soprattutto adesso che la sua reputazione è compromessa: da una parte le accuse dell’America di Trump che taglia i fondi all’Oms perché troppo filocinese, e dall’altra Pechino, che usa ogni sua parola per dimostrare il successo del “modello cinese”. Ma è il direttore generale che dovrà occuparsi della “fase 3”, e cioè l’equa e rapida distribuzione del vaccino contro il Covid non appena sarà pronto. E poi far fronte anche delle altre epidemie, quelle che continuano a esistere nonostante il Covid. Specialmente nel continente africano, e a quella cordata di paesi, guidati dalla Cina, grazie ai quali è stato eletto a capo dell’Oms tre anni fa. 

 

 

L’etiope Tedros (che usa il prenome per presentarsi com’è uso in Etiopia) è una celebrità: è stato ministro della Salute ad Addis Abeba, e poi ministro degli Esteri. E’ un biologo, ha studiato in Europa, e sa fare politica. Grazie alla sua riforma della Sanità, ha ridotto il tasso di mortalità infantile in Etiopia del 60 per cento, ed è considerato una delle figure chiave del contenimento dell’epidemia di ebola in Africa. Ma nel 2017, durante la sua campagna per diventare leader dell’Oms (il primo di origini africane) è stato accusato di aver coperto l’epidemia di colera in Etiopia. Pochi mesi dopo la sua elezione – avvenuta grazie alla lobby e al sostegno della cordata cinese, contro il candidato filoamericano, l’inglese David Nabarro – Tedros ha nominato il dittatore dello Zimbabwe Robert Mugabe ambasciatore dell’Oms, nomina poi revocata dopo le polemiche internazionali. L’Oms è considerata una delle agenzie dell’Onu più strategiche: con un budget di poco più di due miliardi di dollari l’anno non è la più ricca. Ma chi distribuisce farmaci e salvezza, soprattutto nel terzo mondo, è influente. Non è un caso se la Cina abbia ottenuto, per il suo salto di qualità come potenza influenza e responsabile, la leadership di due agenzie: l’Oms, tramite l’Unione africana, e la Fao, cioè gli aiuti alimentari.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.