I misteri e i casi virtuosi dell'America del sud
Un golpe contro Bolsonaro? Ortega è morto e nessuno lo dice? Viaggio latinoamericano tra credenze, falsità, errori ed esempi da studiare
Brasile. Colpo di stato contro Bolsonaro, destituito dai militari per la sua linea negazionista e minimizzatrice sul Coronavirus e sostituito dal capo della Casa Civile (equivalente di un primo ministro), il generale Walter Souza Braga Netto: la notizia girata domenica è stata presto smentita, e definita una classica fake news. Cosa peraltro in tema, in un paese dove Bolsonaro è stato accusato di aver costruito la sua vittoria presidenziale a colpi di fake news fatte girare su Whatsapp, e un carro allegorico con una fabbrica di fake news ha fatto furore all’ultimo Carnevale di Rio de Janeiro.
La notizia era stata lanciata da Horacio Verbitsky: il giornalista argentino già grande accusatore delle compromissioni di Bergoglio con il regime militare. Ed era stata rilanciata da Brasil 247, portale dichiaratamente di sinistra. Il giorno prima Bolsonaro ne aveva fatta un’altra delle sue, presentandosi in conferenza stampa in compagnia di un noto umorista e offrendo ai giornalisti banane invece di risposte. La strafottenza nascondeva peraltro l’umiliante dietrofront cui era stato costretto, con lo spot da lui promosso per convincere i brasiliani a continuare ad andare al lavoro che è stato bocciato sia da un giudice, sia dal ministro della Salute Luis Henrique Mandetta. E il tentativo di destituire Mandetta era stato bloccato in Gabinetto, in particolare dal veto dei potenti ministri della Giustizia e Sicurezza Pubblica Sérgio Moro e dell’Economia Paulo. Secondo le indiscrezioni, si sarebbe anche tenuta una riunione segreta tra gli alti comandi delle Forze Armate per decidere se agire. Potrebbe essere stata questa l’origine della voce di golpe, anche se non ci sono conferme. Comunque già un comunicato firmato il 31 marzo da Braga Netto, dal ministro della Difesa generale Fernando Azevedo e Silva e dai tre comandanti delle Forze Armate ha fatto parlare di “commissariamento”.
Insomma, Bolsonaro resta presidente, ma appare sempre più esautorato. Nel frattempo il Brasile ha passato i 12.000 contagiati e le 500 vittime. La decisione dei ministri sarebbe stata motivata anche dall’esigenza di evitare un improvviso vuoto di potere al Ministero della Salute nel momento in cui il conteggio dei morti che c’è stato tra lunedì e martedì segnala una drammatica scalata. È vero che probabilmente per lo stesso motivo il 59 per cento dei brasiliani si dice al momento contrario a destituuire il presidente. Nel frattempo il Congresso ha votato un emendamento costituzionale per un “piano economico di guerra”, nel momento in cui l’aspettativa di crescita del Pil al 2,2 per cento con lo stop dell’economia hanno lasciato il posto a una aspettativa di recessione dello 0,5 per cento.
Nicaragua. Ma non c’è solo il mistero di Bolsonaro nell’America Latina al tempo del Coronavirus. Anche il nicaraguense Daniel Ortega è un presidente che sta cercando di minimizzare l’impatto della pandemia, al punto che ha invitato i suoi sostenitori a fare manifestazioni, e che il campionato di calcio locale è uno dei quattro al mondo che stanno continuando. Aperte le scuole, aperti i negozi. Anche su Daniel Ortega ha girato via Social un tam tam definito fake news su una sua morte che starebbe venendo nascosta. E anche su Daniel Ortega dietro ai rumori ci sono però dei fatti che hanno spinto anche una testata autorevole come il New York Times a interrogarsi: “Dove sta Daniel Ortega?”. In effetti il presidente del Nicaragua, peraltro protagonista negli ultimi anni di una marcata involuzione autoritaria, si è visto l’ultima volta il 12 marzo: e pure lì stava virtualmente. In teleconferenza con altri presidenti centroamericani. In tutti questi giorni è mancato al funerale di un amico, a atti ufficiali e anche alle manifestazioni da lui stesso convocate.
“Fai come Ortega: resta a casa”, è un meme che circola sui Social, irridendo alla contraddizione tra quel che il presidente raccomanda di fare e quel che fa davvero. È vero che Ortega, 74enne, soffre di varie malattie croniche, e non è nuovo a periodi un cui scompare a lungo al pubblico senza dare troppe spiegazioni. La moglie e vicepresidente Rosario Murillo, una sorta di Lady Macbeth del Nicaragua, assicura che il presidente sta “qui, lavorando, dirigendo, coordinando tutti gli sforzi”. Ufficialmente in Nicaragua ci sarebbero stati solo sei casi e un morto, ma ci sono denunce di almeno 10 casi all’Ospedale Militare, che ha interrotto le cure non di emergenza, e tre da altre parti. Le frontiere sono aperte, e i passeggeri di due navi da crociera che sono approdate sono stati accolti da bambini con regali. La maggioranza in Assemblea Nazionale ha bocciato la richiesta dell’opposizione di aumentare le spese della sanità, e il presidente dell’organo Gustavo Porras ha preso in giro chi mette mascherine. In tutto il Paese ci sono solo 130 ventilatori, di cui 80 già occupati da malati cronici. Tra i contagiati ci sarebbe uno stilista che veste la moglie di Ortega: lo ha detto una ragazza cher per questo è stata poi aggredita da simpatizzanti del regime.
Ecuador. Un’altra storia latino-americana di fake news sul Coronavirus però derivanti da fatti veri è quella dei morti di Guyaquil: grande porto e città più popolosa dell’Ecuador, su cui sono circolate drammatiche foto e video di cadaveri abbandonati in mezzo alla strada e fosse comuni. Da una parte, infatti, il Segretario alla Comunicazione Gabriel Arroba ha denunciato una campagna di fake news che starebbero venendo diffuse da un “gruppo politico” intenzionato a destabilizzare il governo del presidente Lenin Moreno: locuzione che si riferisce evidentemente all’ex-presidente Rafael Correa, che dopo essere stato il mentore politico di Moreno è ora dall’esilio in Belgio il suo più acerrimo avversario. Il ministro dell’Interno María Paula Romo ha in effetti confermato che Correa è sotto indagine. In particolare, alcune foto attribuite al cimitero di Guayaquil si riferirebbero a un funerale messicano del 2018, e immagini indicate come di cadaveri cremati si riferirebbero in realtà a un rogo di pneumatici. L’indagine avrebbe rilevato 6000 diffusori di fake news attraverso account anonimi o falsi, che avrebbero generato 180 milioni di contatti.
Dall’altra parte, però, lo stesso Moreno ha ammesso che la cifra ufficiale di 3747 contagiati e 191 morti è inferiore alla realtà, ed ha parlato lui stesso di almeno 2500-3500 morti, per cui ha promesso che si costruirà un cimitero apposta per consentire un funerale “degno”. La Efe ha riferito che l’esercito ha raccolto circa 3000 cadaveri da case, strade e ospedali, e che Guayaquil si è intanto provvista di almeno 4000 bare di cartone. In città il contagio sarebbe stato particolarmente grave per via del ritorno di molti emigranti dalla Spagna.
Messico. Allo stesso modo del brasiliano Bolsonaro e del nicaraguense Ortega, anche il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador all’inizio ha fatto il minimizzatore: partecipando a bagni di folla, esortando la gente a baciarsi e abbraccciarsi lo stesso, spiegando che a proteggere contro il contagio basta “l’onestà”, e mostrano che lui a sua volta si mantiene sano grazie a immaginette di Madonne, Cuore di Gesù e santi. Ha però assicurato che la pandemia “porrà termine al neo-liberalismo”: secondo un suo mantra abituale, per cui dà la colpa a neo-liberalismo pure per i femminicidi. Dal 30 marzo però il Messico si è messo infine a sua volta in quarantena. Giudicata tra le attività non necessarie ha sospeso la produzione la birra Corona, che aveva già subito un crollo delle vendite per via dell’associazione del suo nome al virus. Il Messico è arrivato a 2439 contagiati e 125 morti, ma i narcos e i “coyotes” che trasportano oltre confine i clandestini sembrano continuare a lavorare a pieno ritmo. E l’uccisione di una 13enne dimostra che anche i femminicidi continuano.
Casi virtuosi. Ci sono però alcuni governi che si stanno distinguendo in modo positivo. Reduce da alcuni mesi di dure contestazioni, ad esempio, in Cile il presidente Sebastián Piñera può ora vantare una buona tenuta del sistema sanitario, che di fronte a una cifra di 4815 contagi che è la seconda della regione dopo il Brasile è riuscito però a mantenere la mortalità al livello bassissimo di 37 vittime. Siamo ai livelli di Germania o Giappone, grazie a una capacità di fare test che va al ritmo di 3000 al giorno. “Impressionante”, ha riconosciuto la stessa Oms. D’altra parte il Cile ha anche una spesa sanitaria pro-capite di 2229 dollari all’anno che è la seconda della regione dopo Cuba, e che pur se distribuita in maniera ineguale tra la popolazione evidentemente produce effetti. Anche qui però c’è timore su che può succedere se i casi aumentano troppo. I respiratori sono 1200, ma solo 240 non sono attualmente utilizzati.
Il Perù, con 2561 casi e 92 morti, è stato lodato da Moody’s per gli 8 punti di Pil che destinerà come risposta al Coronavirus: l’investimento più grande tra i paesi emergenti e il secondo al mondo, grazie a una crescita economica che negli ultimi anni è stata sostenuta malgrado una classe politica in cui tutti i presidenti eletti dal 1990 in poi sono finiti in carcere per malversazione: tranne uno che ha evitato l’arresto suicidandosi.
Ha fatto molta impressione anche la decisa risposta di Nayib Bukele, il giovane presidente di El Salvador (78 casi, 4 morti). Oriundo palestinese il cui stile è una sorta di Macron con ic caudillisti, Bukele non solo ha subito chiuso tutto, ma ha anche sospeso le bollette, debiti e carte di credito per tre mesi ed ha promesso 300 dollari a testa a 1,5 milioni di lavoratori informali costretti a casa, scusandosi via Twitter di non poter fare di più.
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