L'app di monitoraggio potrebbe non essere sufficiente per tracciare l'epidemia (foto LaPresse)

Immuni non basta

Eugenio Cau

Contro il coronavirus la app da sola non ce la fa. Servono decine di migliaia di persone, a cui quasi nessuno pensa

Milano. La app Immuni, la soluzione scelta dal governo per il tracciamento dei contagiati da coronavirus, non può fare tutto da sola. Per quanto il sistema tecnologico possa essere raffinato e automatizzato, servono decine di migliaia di persone per tenere sotto controllo la diffusione del virus e, se possibile, contenerla. Senza tutte queste persone, la app da sola non può funzionare e l’Italia, per ora, non si sta muovendo. Per tracciare il virus servono tre diversi eserciti, che in parte potrebbero sovrapporsi. Il primo esercito c’è già, ed è quello degli operatori sanitari, medici e infermieri. Ma questo esercito deve cominciare a fare qualcosa di nuovo, perché sarà il personale sanitario, mediante la distribuzione di un codice, a fare in modo che i positivi da coronavirus condividano i contatti registrati dalla loro app con il sistema di Immuni.

 

 

Ciò significa che migliaia (forse decine di migliaia) di medici, infermieri e tecnici dovranno essere formati e forniti di un sistema tecnologico (una seconda app apposita o qualcosa di più semplice) per generare i codici e fornirli a chi è risultato positivo al tampone. Per ora, da quanto risulta al Foglio, il ministero della Salute non ha ancora preso le decisioni necessarie per lavorare assieme a Immuni.

 

Il secondo esercito è di supporto. Immuni avrà quasi certamente bisogno di un call center per rispondere alle domande dei cittadini. Il call center potrebbe contribuire anche alla distribuzione dei codici di cui sopra. Se Immuni sarà scaricata da decine di milioni di italiani, il call center dovrebbe contare decine di migliaia di operatori, almeno. Un’ipotesi è che il governo faccia un accordo con un privato già presente nel settore.

 

Il terzo esercito è quello di cui non si parla quasi mai, ed è il più importante, perché tracciare il virus con la app non basta: servono dei tracciatori umani. Ora, il tracciamento dei contatti si può fare in due modi. C’è un modo che è antico e manuale. Un operatore sanitario intervista il malato, gli chiede l’elenco dei suoi contatti stretti e poi si mette a cercarli a uno a uno. Questo metodo è usato nelle epidemie da più di un secolo. E poi c’è il modo nuovo, digitale e ancora non sperimentato, che si fa con le app come Immuni. Ecco una cosa importante da capire: questi due metodi, il manuale e il digitale, non sono alternativi l’uno all’altro. Anzi, se vuoi tracciare il virus devi farli bene entrambi. Jason Bay, che è il capoprogetto della app di Singapore che ha ispirato Immuni, ha scritto di recente che nessun sistema di tracciamento digitale può rimpiazzare il tracciamento manuale. E’ per questo che i paesi asiatici hanno eserciti di tracciatori da migliaia di persone, e secondo l’Oms nella sola città di Wuhan durante il picco dell’epidemia c’erano 9.000 tracciatori. In occidente i tracciatori esistono da decenni, ma soltanto adesso è cominciata la mobilitazione per consentire la riapertura. La Germania ha fatto un gran lavoro di tracciamento anche senza una app, e a marzo, scrive l’Economist, il governo ha indetto un bando per trovare migliaia di nuovi “scout del contenimento”. L’obiettivo è avere una squadra di cinque tracciatori ogni 20 mila abitanti. Il Regno Unito vuole reclutare un esercito di nuovi funzionari pubblici per tracciare il coronavirus, che dovrebbero essere formati in tre settimane e che secondo il Times dovrebbero essere 15 mila. Negli Stati Uniti, la Johns Hopkins University ha stimato che serviranno almeno 100 mila persone per tracciare il virus. Alcune località si attrezzano: il Massachusetts ha fatto mille assunzioni, San Francisco fa formazione a centinaia di volontari.

 

 

E l’Italia? Come in tutto l’occidente, qui il contact tracing si fa almeno dagli anni Cinquanta. Oggi questa funzione è svolta da circa 150 dipartimenti pubblici di prevenzione che fanno capo alle varie Asl, e che hanno lavorato intensamente durante l’epidemia da coronavirus. In alcuni casi, come a Vò, il lavoro dei tracciatori italiani è stato fondamentale, ma generalmente non è stato sufficiente a contenere il contagio. Secondo il sito del ministero della Salute, i dipartimenti di prevenzione hanno “oltre 10 mila operatori”, ma non tutti si occupano di tracciare le epidemie, perché questi dipartimenti si occupano anche di salubrità dei luoghi di lavoro e di moltissime altre cose. Il Foglio ha ricevuto informazioni aneddotiche sul fatto che alcune Asl hanno potenziato i propri dipartimenti di prevenzione, ma i numeri sono ancora troppo bassi. Se volessimo avere tanti tracciatori quanti ne aveva Wuhan, servirebbero quasi 50 mila persone. Se volessimo usare i criteri tedeschi, ne servirebbero 15 mila. I paesi europei si stanno attrezzando per assoldare nuovi eserciti contro il virus. A quanto risulta al Foglio, invece, in Italia non ci sono piani nazionali per potenziare il nostro scarno esercito di tracciatori.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.